"Progetti di normalità", di Bruno Magnolfi

Soltanto musica.

 

Sto sdraiato sul letto. Non voglio spostarmi da qui. Sento una musica che giunge da qualche appartamento vicino, e mi sembra di essere in qualche stanza diversa dalla mia, a godermi questo fresco, e la musica, e anche il pomeriggio tranquillo. Sono pronto a portare avanti tutte le cose, certamente, e ad essere comunque quello che sono, di nuovo, come ogni giorno. Ed anche ogni notte, quando tutto ritorna all’inizio, all’origine, al principio di ogni mio male.

Mi tormenta l’immagine di qualcuno che tiene serrati e muove tutti i fili, ed io che obbedisco. Ma non c’è niente da fare, devo procedere, anche se non mi piace. La musica adesso è soltanto un ronzio in quattro quarti, ma per me è già sufficiente.

Mi rigiro su un fianco, forse mi piacerebbe essere da qualche altra parte, però va bene anche così. Con gli occhi spalancati mi proietto giù dalla finestra fino alla strada, fino ad osservare i clienti seduti ai tavolini all’aperto del bar che frequentavo soltanto fino a due o tre giorni fa. Adesso lo evito, ne va della mia sicurezza, però mi immagino un paio di belle ragazze che si scambiano le loro impressioni ridendo e controllando i messaggi sui loro cellulari.

Stanno sedute, tranquille, sorseggiano ogni tanto una birra, poi forse parlano anche di me, di come oramai non mi si veda più da queste parti; un tipo simpatico, magari un po’ troppo riservato, ma pronto a stare allo scherzo, preciso, uno di noi. Si guardano attorno, alla ricerca di novità, o di un viso noto tra tutti questi rompiscatole che continuano a guardarle bramosi.

Vorrei scendere da voi, tento di spiegare a mezze parole. Ma non mi è facile, non adesso, perlomeno. Loro comprendono, sorridono mentre guardano di nuovo i loro cellulari. Non c’è niente di male, è facile aspettare, basta star qui, senza porsi particolari domande. Però si avvicina qualcuno, dice qualcosa, loro lo guardano; si, dicono, possiamo venire con te, certamente, da qualche altra parte, va bene, non importa se lui non mi si è ancora fatto vedere, sarà per un’altra occasione, non c’è alcuna fretta, non c’era neppure un appuntamento preciso.

Si alzano, ridono, sono subito pronte. Urlo qualcosa dalla mia posizione, ma non serve a un bel niente, anche se potrei forse scendere di corsa e cercare di impedire che tutto si compia. Ma in fondo, che cosa mi importa, potrei dire: sono qui, con questa musica strana che risuona tra i muri, ed il bello è che mi allieta ascoltarla, è come se fosse una parte di me, qualcosa che mi induce a restare, a trattenermi ancora su questo giaciglio, almeno fino a quando è possibile.

Saluto tutti mentre li vedo andarsene via poco alla volta; ho voglia soltanto di starmene fermo e da solo, a seguire gli accordi di questo pezzo che a tratti sembra quasi un crescendo, ma poi ripiega e torna all’inizio, ogni volta senza risolversi in niente. Forse sono anch’io come una musica senza capo né coda, dico alle ragazze mentre continuano a ridere. Potrei rincorrervi, partecipare al vostro sentirvi lontano da tutto, ma ho scelto di stare in un diverso contesto: qualcosa che non richiede il pensiero, niente di ciò che siamo già abituati a considerare.

Perdo la testa dietro questa musica insolita, è se come nascesse direttamente dentro di me, dalle mie mani quasi appoggiate su una tastiera di pianoforte, a far correre le dita agili e rapide avanti ed indietro, e cullarmi con loro su queste corde metalliche martellate lievemente e con grazia, come sapessi perfettamente quanto il loro vibrare sia capace di modificare le cose, e lasciare che tutto si riesca a modellare sulle onde incrociate delle vibrazioni che escono. Ma è una musica quella che sento, soltanto una musica.

Bruno Magnolfi

Soltanto musica.ultima modifica: 2019-03-17T20:45:43+01:00da
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