Altra maniera.

 

Il paese dove è nato e dove ha sempre vissuto, secondo la sua idea, sembra sia il luogo più giusto e più importante di tutti, anche se si tratta di un piccolo centro abitato come tanti altri, e dove ci sono ben pochi svaghi e delle vere attrattive. Ma proprio per questo, forse, tutti gli altri piccoli comuni della provincia di Pisa, secondo il suo parere, sono soltanto da disprezzare, come non ci fosse proprio alcuna ragione anche soltanto per reggere il confronto. Starsene la maggior parte del tempo per conto proprio, indifferente agli altri, pur sostando di domenica mattina nella piazza principale di Vicopisano di fianco a diverse altre persone, vuol dire aspirare a pieni polmoni l’aria che soltanto lì si respira, del tutto differente da quella di Bientina, di Calcinaia, di San Giuliano, di Calci, o di Cascina, paesi dove la gente non ha alcun criterio di sé, dove è assente persino l’anima in quei luoghi, e nessuno degli abitanti merita niente. Questa è sempre stata la sua idea di fondo, e l’odio campanilistico verso gli altri centri abitati che circondano il suo comune è anche qualcosa che supera la ragione, come un’idea fissa, inalienabile in lui. Certe volte si è ritrovato a pensare che sindaci e giunte comunali di quei posti insopportabili, dovrebbero dimettersi in massa, e lasciare semplicemente alla gente di Vicopisano la possibilità di governare su tutti quei loro territori. Poi, naturalmente, ad ogni lungo periodo in cui sembra proprio che questi argomenti siano nella sua mente la fissazione più forte di qualsiasi altra, seguono anche altri momenti più quieti, in cui lui prosegue, come ha sempre fatto, il suo mestiere di ciabattino e di calzolaio, chino sul piccolo banco da lavoro della sua bottega. Tutti lo conoscono, anche se lui non parla mai con nessuno, limitandosi a poco più di qualche grugnito nei momenti in cui un cliente gli porta un paio di scarpe da risuolare, oppure ritira del lavoro già prontamente eseguito, e in genere, a regola d’arte.

A nessuno è passato mai per la mente che quell’uomo scuro, ombroso, dallo sguardo basso, sempre da solo, potesse fare del male a qualcuno, ed anche quando lo si vede oggi transitare per strada a bordo del suo motorino chiuso a tre ruote, per tutti è una presenza in fondo quasi rassicurante: è uno del paese, fa parte del panorama, come lo era stato suo padre prima di lui, che gli ha insegnato il mestiere, gli ha lasciato due stanze e la bottega, e poi nient’altro; uno che è sempre stato lì, insomma, in mezzo a loro, come uno di loro. Invece lui ha sempre coltivato dentro sé stesso la voglia irrazionale di una vendetta inspiegabile, come un pensiero fisso che ti resta dentro quando arriva, e non riesce più a trovare libero sfogo. Quando qualche cliente, che lui non conosce e non ha mai visto prima, entra nella sua minuta bottega, lui non lo guarda e non gli dimostra né disprezzo né altro, anche se immagina che chi sta trovandosi di fronte giunga senz’altro da qualche altro comune della provincia, limitandosi a svolgere il suo lavoro nella stessa maniera di sempre, come con tutti gli altri. Però l’odio che prova lo avverte profondo dentro di sé, come se fosse impossibile passare sopra ad una differenza così forte tra le persone, differenza che per lui è sempre stata la cosa fondamentale. Annuisce, prende con la mano le scarpe a cui rifare i tacchi, e bofonchia le sue solite parole: <<domani, si, domani>>, e nient’altro, anche se un po’ deve sforzarsi nella piena consapevolezza che quello che sta facendo è soltanto il suo mestiere, e niente di più o di diverso.

C’è un legno, appoggiato in un angolo dietro di lui; è un bel legno, pesante, robusto, e lui sa che potrebbe sempre usarlo, in qualsiasi momento, perché basterebbe che un tizio, proprio come quello che se n’è appena andato, dicesse qualcosa di poco digeribile, per farglielo prendere svelto. Un colpo alla testa, oppure diritto a una spalla, senza troppi tentennamenti, e le cose sarebbero immediatamente aggiustate. Che cosa gli può mai importare di uno che viene da Navacchio oppure da Pontedera; sono tutti una massa di persone senza spina dorsale, gente da perdere, nemici, forse addirittura differenti, proprio dentro sé stessi, da quelli di Vicopisano. Lui li odia, lo sente, ne è certo, anche se non ha certo bisogno di darlo a vedere, di mostrare a tutti quanti i suoi sentimenti, anche se spera che qualcuno prima o dopo immagini quei suoi pensieri. Lui, se soltanto vuole, è capace di parlare come tutti. Non ha bisogno di strascicare, come invece fa, le parole che dice. Ma quasi nessuno merita che lui si sforzi, e poi non ha nessun interesse a comportarsi in un’altra maniera che non sia quella che tutti conoscono. Li odia, li odia tutti, e salva soltanto quelli del suo paese, ma alla fine forse sa che è la sua stessa solitudine ad averlo reso così, differente, isolato, incapace di essere con gli altri in un’altra maniera.

Bruno Magnolfi

Altra maniera.ultima modifica: 2023-03-06T15:59:33+01:00da magnonove
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