Meriti riconosciuti.

 

Eravamo in tre o quattro, quasi sempre, a girare in largo e in largo per tutto il paese. Era come ci sentissimo quasi in dovere di elevarci, in quei pomeriggi pressoché insensati, a veri custodi delle strade, e per questo motivo, anche nelle giornate assolate e caldissime delle estati di quell’epoca, vuote di tutto, nell’aria ferma tra le case basse, noi provavamo ogni giorno la necessità di pattugliare, un passo dopo l’altro, tutto il piccolo centro abitato perlopiù deserto, polveroso e pieno di luce, come se, dovendo casomai accadere, almeno nella nostra fantasia, qualcosa di strano, di insolito, di inaspettato, proprio da quelle parti, noi ci si trovasse pronti, esattamente lì, quasi sul posto, preparati e capaci di vedere e registrare con i nostri occhi di ragazzi qualsiasi novità si presentasse. Si parlava, camminando lentamente, conservando un tono basso, di chi sta confidando delle grandi verità, spiegandoci l’un l’altro delle opinioni di fantasia che in seguito dimenticavamo in fretta, ridendone ogni tanto, però pacatamente, come di chi è assolutamente sicuro di sé, e non si permette mai di lasciarsi troppo andare. Ci sentivamo dei veri vagabondi, quelle volte, come se, non avendo trovato proprio altro di cui occuparci, si sentisse l’obbligo, dentro noi stessi, di comportarci proprio così, come padroni e custodi di qualcosa che sentivamo prossimo, accanto a noi.

<<Gino>>, diceva a volte il mio amico Fabrizio; <<giriamo da dietro la Chiesa per vedere se è ancora tutto a posto>>. Così si facevano delle varianti al solito percorso, ed ogni tanto ci si fermava all’ombra di qualche grande muro fresco, o sotto ad una pianta dalle foglie larghe, a riprendere fiato, far riposare un attimo le gambe nude, anche se poco dopo si riprendeva subito il giro, i sandali ai piedi, la fionda in una tasca, sicuri dei nostri compiti a cui ci sentivamo chiamati dal dovere di essere assolutamente dei difensori di qualcosa di importante. <<Tutto a posto, ragazzi?>>, ci chiedeva incontrandoci qualcuno che ci conosceva, e noi ci limitavamo a rispondere con un semplice mugugno, oppure con un cenno della mano, come se tutto procedesse per il suo corso, sotto alla nostra attenzione, perfetto per come noi lo tenevamo costantemente sotto uno stretto controllo. Certe volte ci spingevamo addirittura fuori dal paese, giungendo fino alla frazione di Castelmaggiore, o lungo la strada dell’Arnaccio, o arrivando alla Chiesetta di San Rocco, ad annusare gli ulivi chiari, quasi d’argento, e la terra piana attorno; poi però si tornava presto nel paese, quando le persone cominciavano ormai ad uscire dalle case, respirando il fresco che giungeva già più tardi, insieme alla brezza blanda, spinta dal maestrale ancora carico della salsedine di Marina di Pisa.

Ci pareva la cosa più importante di tutta la giornata, quasi come se, non avendo compiuto il nostro giro d’ispezione in tutta Calci, era probabile che qualcosa di brutto si sarebbe potuto verificare quasi senz’altro. Il nostro vagabondare a piedi per quelle poche strade, era naturalmente prezioso per tutto il paese, ne avevamo piena coscienza, e quindi mai nessuna fatica ci prendeva, considerata l’importanza del nostro coraggioso comportamento. In piazza poi ci si fermava a bere l’acqua della fonte, a sciacquarsi la faccia, certe volte a bagnarsi anche il collo e i capelli, come fossimo uomini fatti che si prendono una pausa rinfrescante dopo il duro lavoro. <<Te, che vorresti fare, Gino>>, chiedeva a volte Fabrizio, quando in quelle soste iniziava a voler parlare del futuro. E allora io ci pensavo a lungo, in silenzio, poi rispondevo ambiguo: <<non vorrei mai andarmene da qui; mi basterebbe mettere su un negozietto di frutta e di verdura, oppure iniziare a fare il benzinaio, in aiuto al Marretti, che mi sembra abbia già i suoi anni per mettersi a riposo>>. Allora ognuno si sentiva in dovere di dire la sua sull’argomento, ma la cosa più importante restava comunque il presente, quel senso forte di avere nelle mani in quel momento direttamente noi stessi, senza bisogno d’altro.

Adesso, quando pedalo sopra la bicicletta a consegnare le lettere per l’ufficio Postale, certe volte mi tornano alla mente quei discorsi, insieme al sapore strano e lontano di quei pomeriggi carichi di buffe intenzioni, e mi pare quasi che se io e quei miei amici di allora non ci fossimo sacrificati per tenere tutto quanto sotto controllo, qualcosa sarebbe potuto anche accadere, qualcosa che nessuno di noi e tutto il paese avrebbe mai voluto. Gli anni poi sono scorsi via di seguito, come un treno che fischia veloce in mezzo alla campagna, e nessuno di noi probabilmente ha fatto qualcosa di quello che avrebbe desiderato davvero da ragazzo. O forse si, ed io certe volte mentre saluto qualcuno che incontro adesso in mezzo al mio paese, avrei voglia ancora di fermarmi un attimo, e spiegargli che siamo stati noi a difendere tutto quello che ancora si può vedere attorno, e non abbiamo avuto mai nessun merito riconosciuto, se non la nostra stessa memoria, e poi nient’altro.

Bruno Magnolfi

Meriti riconosciuti.ultima modifica: 2023-02-15T13:08:34+01:00da magnonove
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