Piuttosto riservato.

 

A volte, la sera tardi, esco di casa da solo per farmi un giro a piedi nel paese, come avessi al guinzaglio insieme a me un cane mansueto da portar fuori, a cui far annusare qualche nuovo odore, far sciogliere i muscoli delle zampe, o anche solo condurre in giro a caso, senza neppure una vera meta. In quell’orario nell’abitato non si incontra mai nessuno, restano soltanto i soliti affezionati alla Casa del Popolo che tirano tardi là davanti a discutere su qualcosa di poco senso, magari ridere di qualche comune conoscenza, oppure mostrarsi pronti a scambiare le opinioni più inverosimili su tutto ciò che passa per la loro mente. Evito di passare da quella parte, piuttosto costeggio il marciapiede opposto lungo la strada, e mi perdo spesso in quelle ombre che si formano tra un lampione e il successivo, soffermandomi ogni tanto ad osservare qualche dettaglio di un muro, o di un portone, o di un manifesto affisso che precedentemente non avevo notato. Il mio cane mi osserva inquieto, nell’attesa che io riprenda a muovere i piedi, verso un itinerario del quale forse non nutre proprio alcun interesse. Mi piacerebbe in certi casi saper suonare uno strumento a fiato, che se ci penso non ho neppure mai ascoltato, forse una tromba dal suono molto fioco, l’imboccatura semplice, dei tasti diatonici, capace di esprimere quasi un canto melodioso e dolce, ben riconoscibile. Giro dalle parti di un giardino alberato, osservo davanti a me, nella scarsa luce intorno alle siepi e alle panchine vuote, qualcosa che potrei aver dimenticato ieri o qualche tempo addietro: un libro sgualcito, una penna a sfera di cui adesso non saprei che farmene, oppure un grande fazzoletto grigio che qualche volta porto legato attorno al collo, ad evitare che il fresco della sera possa regalarmi un forte mal di gola. Il mio cane mi osserva, senza comprendere, disinteressato ai miei giochi.

In quella zona in qualche caso incontro qualcuno con la mia stessa inquietudine, ed allora ci fermiamo e ci mettiamo a parlare del nostro piccolo paese, delle scarse novità su cui girano insistentemente delle strane voci, di qualcuno che purtroppo recentemente ci ha lasciato, oppure anche di ciò su cui dobbiamo indubbiamente tornare ad occuparci, presto, tra poco, appena giunte le prime luci del nuovo giorno. Tutti, ad esempio, hanno saputo qualcosa del nostro Ufficio Postale, ed ognuno ha tirato fuori da sé una propria opinione, come se fosse inevitabile dire la propria intorno ad un argomento così importante eppure poco chiaro. Forse chiuderanno quella sede, si dice sempre con più insistenza tra la gente, e forse i cittadini di Calci dovranno arrivare fino a Pisa o a San Giuliano per spedire una semplice raccomandata, o per pagare una bolletta ormai in scadenza. Sembra incredibile che qualsiasi novità che arriva ogni poco tempo ad investirci sia sempre negativa. Il mio cane mi osserva con sguardo comprensivo, come capisse quanto possa essere antipatica la coscienza per qualcosa che peggiora sempre, poco per volta, fino a mostrarsi quasi inumana questa sensazione, o incomprensibile, come un effetto diretto dello scetticismo che con troppa facilità manifestiamo spesso. Il conoscente che mi ascolta resta in silenzio, forse ha delle opinioni che non desidera farmi conoscere, e delle quali peraltro io probabilmente non mi curerei.

Poi torno verso casa, ancora da solo, però mi fermo accanto al muro di una vecchia casa del paese per intonare col mio strumento un’aria della quale sono sicuro all’improvviso di ricordare almeno qualche nota. Mi piace immettere in quella melodia qualcosa di me, dei miei pensieri, delle mie scarse distrazioni, anche se la magia sonora appena avvertibile che lascio spandere dura troppo poco, appena il tempo di rivelare che ero qui, che sono transitato lungo questa via, che ho infuso nell’aria il mio segnale. In piazza Cairoli, nell’abitato di Calci, c’è la torre campanaria della Pieve che a quest’ora sembra emergere dal buio, e con la sua possenza riesce a dare un aspetto difensivo a tutte le costruzioni attorno. L’ufficio postale naturalmente è vicino, pare impossibile che sia destinato ad una prossima fine così repentina e ingloriosa. Il cane adesso sbadiglia, indica con semplicità che è stufo di girare lungo delle strade nude, senza vita, da dove qualsiasi abitante del paese appare fuggito, rifugiato a doppia mandata nella propria abitazione, consigliando a noi di fare altrettanto. Riprendo la mia strada, allungo il passo, sgancio il guinzaglio e lascio che il mio cane si perda chissà dove, visto che tanto lo ritroverò piuttosto facilmente nella prossima serata, quando tornerò a percorrere i medesimi marciapiedi. Poi rientro nella mia abitazione, girando le chiavi con calma, aprendo il portone con lentezza, e salendo le due rampe di scale quasi in punta di piedi per non fare rumore, anche se al primo piano di questa palazzina abito da solo; non mi piace comunque che qualcuno avverta i miei spostamenti, preferisco passare inosservato agli occhi di chi mi conosce come un proprio vicino, ed essere giudicato soltanto un cittadino come tutti, forse soltanto piuttosto riservato.

Bruno Magnolfi

Piuttosto riservato.ultima modifica: 2023-02-08T18:30:40+01:00da magnonove
Reposta per primo quest’articolo