Scarse possibilità.

 

Carlo, certe volte, aveva sostenuto che negli anni a venire sarebbe diventato inutile per noi impegnarsi a studiare ed imparare tutta una serie di nozioni come invece ancora dovevano fare. Tra non molto ogni informazione avrebbe avuto la possibilità di entrare nelle nostre menti per via elettronica, senza alcun sacrificio, praticamente come versare un liquido dentro un recipiente. Sandro annuiva, si mostrava praticamente d’accordo, ed io, anche se ero piuttosto perplesso, non avrei mai avuto il coraggio di dire che tutto questo non mi convinceva. Mi sembrava soltanto una maniera per squalificare in un attimo i più bravi, i primi della classe, quelli che, a differenza di noi, passavano le giornate chini sopra i libri. Ci mettevamo a sedere su un gradino di pietra, durante quei pomeriggi, sistemandoci uno a fianco all’altro, quasi senza la possibilità di guardarsi negli occhi, e si tiravano fuori così le proprie opinioni, certe volte anche le più stravaganti, generalmente senza mai replicare o mostrare un disaccordo palese, come se anche una qualsiasi enormità, detta però in quel cortile erboso dove non veniva mai nessuno a disturbarci, dovesse essere accolta come vera. Normalmente io mi limitavo ad ascoltare le opinioni dei miei amici, troppo timido com’ero nell’età della scuola elementare, per riuscire ad esporre qualcosa di sensato senza impappinarmi e quindi provare subito vergogna; qualcosa che magari potevo aver riflettuto per conto mio, senza alcun aiuto; però le trovate che tiravano fuori loro due mi affascinavano, anche se forse, almeno in certi casi, capivo che erano semplicemente delle invenzioni messe su ad arte solo per prendermi un po’ in giro, e magari farmi fare la figura dello sciocco se mai avessi avuto il coraggio di riferirle a qualcun altro. Però, qualche altra volta, mi pareva che il tempo rallentasse parecchio, mentre parlavamo sottovoce davanti a quel fico polveroso e al muro scalcinato, durante quei pomeriggi in cui ci limitavamo soltanto a dire e ad ascoltare, proprio come volevamo noi, senza sfilare di corsa come sempre dietro al solito pallone, oppure a scorrazzare per tutto il nostro quartiere costituito quasi soltanto da vecchie case popolari.

Le cose che venivo a sapere in quelle occasioni, al contrario di chi momentaneamente le sosteneva, a me rimanevano in mente per lungo tempo, come se avessi avuto bisogno di una attenta controprova per accertarne la loro inconsistenza, o per ritenerle addirittura false, tanto da riuscire facilmente in seguito a riconoscere le contraddizioni nelle quali facilmente cadevano i miei amici, nel momento esatto in cui, naturalmente in periodi successivi, arrivavano ad esprimere anche qualcosa di completamente opposto. Ritenevo di avere comunque un indubbio vantaggio sia su Carlo che su Sandro: riuscivo a stare anche per lungo tempo completamente in silenzio accanto a loro, magari meditando su ciò che sentivo dire, e formandomi cosi delle idee maggiormente riflettute. <<Se ti inserissero la spina nella presa della mente, tu cosa vorresti ti venisse riversato>>, chiedeva Sandro a Carlo già sorridendo. E lui rispondeva che gli sarebbe bastato tutto ciò che sapeva la nostra maestra, non una cosa di più. Sandro invece avrebbe voluto conoscere quel che era nella testa del pilota di un aereo, con tutta l’esperienza e il resto, così da riconoscere dall’alto ogni zona della terra, o sapere perfettamente cosa fare di fronte a qualsiasi difficoltà. Poi chiedevano a me, già sapendo che probabilmente non avrei saputo cosa dire. <<Gli animali>>, rispondevo invece io; <<sapere tutto ciò che riguarda gli animali: i loro comportamenti, le loro diverse maniere d’essere, anche di quelli più piccoli, e persino i segreti degli insetti. Come fanno le api a ritrovare sempre la strada, come possono i pipistrelli volare nel buio completo, tutte queste cose, insomma>>. Loro si guardavano, in quei casi, ed io mi sentivo improvvisamente solo, senza nessuna comprensione.

Poi, con un cenno, si tornava sulla strada, uscendo dal nostro nascondiglio dietro quel largo caseggiato. A me non importava poi molto degli animali, se soltanto ci pensavo un po’ più attentamente. Però mi piaceva molto curiosare nei comportamenti delle formiche, oppure nei modi che usava la nostra gatta di casa nel farsi comprendere quando aveva fame, o quando desiderava uscire fuori. La verità però era che non avrei proprio saputo cos’altro rispondere, se ci pensavo meglio: non aveva alcun senso, secondo me, sapere delle cose che non avevi meritato di sapere. Mancava il percorso, per giungere a quelle conoscenze gratuite, e quindi l’interesse reale ad avere nella memoria delle nozioni fredde. Poi però una volta parlammo della musica, e su questo ci trovammo d’ accordo tutt’e tre. Qualche anno dopo Carlo imparò a suonare il flauto, e Sandro il pianoforte, mentre io avrei voluto tanto fare il musicista come loro, ma mi arresi quando i miei genitori dissero che la scuola per imparare a suonare uno strumento costava troppo. Così attesi a lungo che inventassero la maniera per padroneggiare la musica senza doverla neanche studiare, ma quando fui più grande mi resi conto che questo purtroppo non sarebbe mai stato possibile.

Bruno Magnolfi

Scarse possibilità.ultima modifica: 2022-10-29T16:02:38+02:00da magnonove
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