Ciò che fa al caso mio.

 

Il mio socio stringe i tempi. Ogni volta che ci vediamo ha qualcosa di nuovo che gli gira nella testa, e poi non lascia in pace neanche per un momento gli operai che lavorano alla realizzazione della sede dell’agenzia: se ne sono appena andati quelli che, peraltro in tempi rapidissimi, hanno ristrutturato i pavimenti e le pareti, e già se la prende con gli addetti agli impianti e con chi deve consegnare e posizionare i mobili e le scrivanie. A me sembra che tutto fili come un treno, ed adesso che ogni progetto si sta concretizzando, ho quasi paura del futuro e di quel che appare al mio orizzonte. Avrei continuamente voglia di telefonare a qualcuno, non tanto per parlare di quello che mi sta accadendo, quanto per scaricare questa tensione che si sta accumulando dentro me. Lorenzo da dietro al bancone della sua birreria mi ha osservato diverse volte in questi giorni con un’espressione incerta e vagamente sorridente, di chi ha compreso alla perfezione che sta accadendo una vera rivoluzione nelle mie giornate, ma non mi ha chiesto niente, lasciando forse a me i tempi e la volontà per spiegare qualcosa, semmai ne avessi l’intenzione. Carla è arrivata puntualmente. Ci siamo seduti ad un tavolo d’angolo con due caffè, e mi è sembrata un po’ nervosa, ma è riuscita ad attendere il momento giusto, a parte i convenevoli e le scuse, per iniziare a parlare di ciò che più desidera. Ad Elisabetta non importa poi molto che io abbandoni l’agenzia dove ho lavorato per alcuni anni. Troverà qualcuno che mi sostituisce. Però non sa darsi pace, così almeno dice la sua amica, per non essere riuscita in tutto questo tempo a farmi presente i suoi veri sentimenti verso di me.

Spalanco gli occhi, incredulo. <<Non mi sono mai accorto di niente>>, le dico vergognandomi immediatamente della stupidità di questa osservazione. <<Elisabetta ha una personalità tremendamente chiusa>>, dice Carla. <<Anche con me si è confidata soltanto recentemente, però mi è parso terribile che tu in qualche modo non venissi messo a conoscenza di ciò che nella sua nascosta sensibilità, lei è stata capace di elaborare. Naturalmente non sa niente di questo nostro incontro di stasera, e in ogni caso lei sarebbe anche capace di tenersi per sé tutto quanto, senza rivelare niente a nessuno>>. Prendo un sorso del mio caffè, mi guardo attorno quasi ad agognare una via di salvezza da una situazione che mi sta apparendo vagamente oppressiva, ma tento subito di essere pratico, cercando di comprendere cosa mi dovrò aspettare nei prossimi giorni da tutto questo. <<Forse lei è quasi contenta che tu adesso lasci libero il posto di lavoro. Vedi>>, prosegue Carla, <<per Elisabetta vederti tutti i giorni senza riuscire a dirti niente, è quasi diventata una vera sofferenza, e probabilmente spera che nel prossimo futuro non perdiate i reciproci contatti, al punto da sentirsi libera di essere magari più sincera verso di te>>. Annuisco, in fondo mi sta facendo un favore, rifletto, accompagnandomi così verso la trasformazione totale dei miei rapporti lavorativi, anche se i prossimi giorni, quando dovrò consegnare la lettera con cui rassegno ufficialmente le mie dimissioni, saranno senz’altro i momenti più difficili di tutto questo lungo periodo in cui ho lavorato insieme a lei.

<<Elisabetta è innamorata di te>>, affonda Carla forse anche per scuotermi, visto che non trovo ancora niente da chiedere o da puntualizzare. <<Però proprio per questo riesce soltanto ad essere scostante e fredda ogni volta che tu entri nella sua agenzia>>. Vorrei andarmene, adesso; provo la necessità di starmene da solo, di riflettere con calma tutto quanto, di tentare la comprensione di qualcosa che neppure minimamente mi sarebbe apparso mai possibile. Non parlo, anche per la paura che ho di riuscire soltanto a balbettare, e così di mostrarmi debole, insicuro, insensibile, incapace persino di guardarmi attorno e di vedere gli altri nella giusta luce. Carla termina il suo caffè, non sembra voglia trattenersi oltre, la rivelazione che voleva fare è giunta a segno, non sente il bisogno di proseguire oltre e magari agitare ulteriormente l’arma nella ferita che è riuscita ad aprire. Resto seduto mentre lei si alza, però la saluto stringendole la mano, come un patto, quasi come se io fossi improvvisamente già un’altra persona, e rimango per un po’ da solo a questo tavolo.

Infine, pago i caffè a Lorenzo, e lui, impegnato con altri clienti, guarda verso un’altra direzione, mentre io cerco disperatamente di aggrapparmi al suo viso, ai suoi lineamenti definiti; esco dal locale come fossi un fantasma senza alcuna materia, quasi aleggiando sopra al suolo, e attendendo da un attimo all’altro di scomparire come un semplice sbuffo di vapore. Sulla strada prendo d’istinto la direzione verso casa, anche se non so più quale sia la decisione migliore per il mio caso.

Bruno Magnolfi

Ciò che fa al caso mio.ultima modifica: 2022-10-09T18:11:11+02:00da magnonove
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