Sopra un’isola sconosciuta.

 

Diario. 11° giorno. Ettore, stamani presto, si è mostrato particolarmente vispo ed allegro. Così gli ho messo rapidamente il guinzaglio e la sua mantellina felpata, e mentre gli altri nel camper ancora si giravano nelle brande cercando di dormire, sono uscita fuori con lui per compiere un piccolo giro lungo una delle famose spiagge bianche di questa zona, così deserte e fredde in questo periodo, proprio vicino a Duarmenez, in una delle eleganti insenature bretoni. Naturalmente mi sono fermata diverse volte a raccogliere conchiglie sulla spiaggia, ed infine, presumibilmente dalla Rue des professeurs Curie, subito dietro l’arenile, è giunto un signore piuttosto attempato, ben vestito, con le mani immerse in vistosi guanti di pelle, che già da diversi metri di distanza mi ha subito salutato con un gesto ed un sorriso direi inequivocabili. Mi sono fermata, ho lasciato che mi raggiungesse, poi si è lasciato andare ad una serie di carezze e di complimenti gentili verso il mio cagnolino, spiegandomi in un buon francese, che aveva avuto anche lui in passato un cane proprio come il mio. Gli ho sorriso, non sapevo esattamente cosa rispondergli, però tutto quanto mi è parso un buon punto di partenza per una piccola conversazione. Così il tipo, forse anche per superare un po’ la mia titubanza, mi ha spiegato in breve di chiamarsi Pierre, e di possedere una casa sul mare proprio là dietro, anche se lui da sempre abita nella città di Tours, dove ha svolto nel passato il mestiere di insegnante, prima di andarsene in pensione.

Gli ho detto allora che mi piaceva molto quel golfo profondo dove ci trovavamo in questo momento, e che il nostro camper era fermo in un parcheggio poco distante dalla battigia, così lui mi ha subito messo al corrente delle particolarità del luogo, insistendo sulla rara bellezza dell’isola di Tristan – distante appena cinquanta metri dalla costa e unita a lei nella bassa marea – e del suo faro, proprio di fronte al centro abitato del paese di Duarmenez. Poi abbiamo ripreso a camminare, e mentre il professore proseguiva a spiegarmi mille cose, ho pensato che in fondo era proprio questa la vacanza in camper che avevo desiderato fin dagli inizi: fermarsi in luoghi poco frequentati, chiacchierare con la gente del posto, lasciarmi riferire tutto ciò che a loro pareva più particolare e interessante nei riguardi della zona che abitavano, o almeno fargli spiegare quello che a loro parere era assolutamente da non perdere, da vedere e visitare senz’altro. Ho pensato che invece una gran parte del tempo a disposizione fino adesso era andata praticamente sprecata all’interno del nostro camper, spesso nella stupida ricerca, come se quello fosse stato tra tutti l’elemento principale, delle esatte misure di convivenza tra di noi, quasi che il panorama attorno alla nostra casa viaggiante avesse in pratica un’importanza del tutto secondaria. Ho spiegato all’uomo, nelle poche e semplici parole francesi che conosco, che partendo dalla Normandia stavamo semplicemente percorrendo la Bretagna verso sud, curiosando lungo gli anfratti della costa, e fermandoci, anche diverse volte durante ogni giorno di viaggio, nei luoghi più caratteristici che ci apparivano davanti. Lui è sembrato apprezzare molto il nostro progetto, poi però mi ha spiegato con un certo dispiacere, osservando il suo orologio, che stava facendo tardi per qualcosa di importante, e perciò doveva proprio andare, tanto che rapidamente mi ha salutato con una rinnovata cortesia, ed infine ha lasciato sulla testa di Ettore un’ultima carezza.

Da ragazza avevo pensato varie volte che tutto quanto mi circondava in quegli anni potesse essere tradotto facilmente in scorrevole letteratura. così certe volte in quell’epoca mi osservavo attorno trascrivendo mentalmente ogni dettaglio in minute storie e semplici aneddoti. Adesso, dopo tanti anni, penso che da giovane avevo pienamente ragione, ed un personaggio come il professore incontrato in spiaggia, e le sue storie relazionate in un francese perfetto, avrebbero incarnato esattamente l’idea di fondo che mi girava allora dentro la testa. Così sono tornata fino al camper, e senza accennare nulla di particolare agli altri, che comunque ho trovato in piedi e già impegnati ad accordarsi sulla meta prossima del nostro singhiozzante viaggio, ho riflettuto con intensità che non avrei mai raccontato loro qualcosa dell’isola di Tristan, e del suo crudele signore De La Fontenelle. Non tanto per serbare in me stessa un piccolo segreto quasi infantile, ma unicamente per il desiderio profondo di trattenere dentro di me qualcosa forse impossibile da comunicare ad altri con una descrizione a voce. Ne avrei scritto qualcosa, probabilmente, appena ne avrei avuto il tempo: oppure mi sarei lasciata cullare solo dal desiderio di scrivere una vera storia mia, un sunto generale di tutta la vacanza, magari ridotto ad un’essenza praticamente scollegata da quasi tutto il resto.

Bruno Magnolfi

Sopra un’isola sconosciuta.ultima modifica: 2022-04-30T16:54:58+02:00da magnonove
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