Cara Luisa.

 

Sono rare le volte in cui infine si decide ad entrare nell’ascensore un po’ angusto e maleodorante, ed arrivare così, accompagnata dal sibilo del motore elettrico e dagli ingranaggi che si immagina scuri e sporchi di grasso, fino a quell’ultimo piano del palazzone enorme ma senza alcuna particolare caratteristica, lasciandosi poi tenere cortesemente aperta la porta da lui, dopo aver sostato appena un momento sul pianerottolo, e mettendo quindi piede in quell’appartamento sempre piuttosto disordinato e confuso, però meravigliosamente pieno di luce e di aria, mostrando ogni volta la sua tipica leggera timidezza, quasi il timore manifesto della propria capacità di rompere un evidente ma incomprensibile equilibrio instaurato là dentro da chissà quanto tempo, giunto esattamente in quell’attimo al colmo della propria fragilità, così retto su dei perni misteriosi che forse paiono spesso sfuggire al pensiero comune, ma che riescono comunque a trasparire come indizi precisi di sobria pacatezza. Luisa immediatamente, come provata da uno sforzo estremamente affaticante, generalmente va a sedersi di colpo sul divano di stoffa, e quasi senza preoccuparsi di altro, snocciola con voce modulata ed allegra tutto quello che al momento le viene da dire, lasciando a lui il semplice compito ogni tanto di farsi interrompere, sempre che manifesti la voglia di dare la propria opinione in un semplice intercalare di due o tre parole, e proseguendo ad investire la stanza e gli oggetti presenti con la propria oratoria farcita di aneddoti e frasi subalterne, beandosi del sorriso di lui che prosegue a guardarla e ad ascoltare ogni cosa lei abbia da dire.

In quei casi si sa come sia ancora lui che riesce ad attenderla con forte impazienza, anche soffermandosi a volte nel piccolo corridoio del suo appartamento, dietro al portoncino ancora ben chiuso, inorecchito al rumore monotono dell’ascensore che da un attimo all’altro si avverte innalzarsi nel suo scorrere meccanico fatto di cavi d’acciaio dentro al vano buio ed angusto, fino a fermare la cabina esattamente all’ultimo pianerottolo, nell’aprire automatico e immediato delle porte metalliche, segno evidente della variazione impellente per lui della propria giornata monotona, spesso annunciata quasi di fretta soltanto da un semplice messaggio telefonico. Non ci sono dei motivi preponderanti a provocare tutto questo, se non un ritrovarsi ogni tanto per loro due ad aggiornare gli atteggiamenti e i pensieri, anche se lui conserva nascosto da qualche parte il desiderio frenatissimo di ottenere qualcosa di più, nei confronti di Luisa, oltre a mostrarsi il buon amico e confidente di cui in ogni caso si accontenta di essere.

<<Ho letto un bel libro>>, gli dice certe volte Luisa; <<anche se adesso non ne ricordo esattamente la trama; in tutti i casi qualcosa di un personaggio tra gli altri mi ha ricordato di te>>. A lui sembra già molto riuscire ad entrare tra le pagine di qualcosa sfogliato proprio dalle mani minute e agitate della sua cara Luisa, perciò sorride, annuisce, si fa piccolo, sottile, fino quasi ad entrare proprio tra le pieghe della carta stampata scorsa dagli occhi di lei, esattamente dove lo ha inserito Luisa, e sentirsi lusingato di avere caratteristiche paragonabili ad un attore della letteratura, anche se la sua timidezza lo riporta in un attimo davanti al suo sguardo, nel desiderio di allontanare il più possibile nel tempo, quel momento nel quale inevitabilmente lei si alzerà dal divano, e con gli ultimi discorsi pronti ad essere quasi conclusi, si avvicinerà alla porta d’ingresso, si farà chiamare l’odioso ascensore, per poi infine andarsene, dopo un saluto che non ammette verbi né azioni definitive, ma è quasi una sospensione: fino a più tardi, a domani, o fra un mese, chissà.

Lui osserva andar via scendendo quell’ascensore con lei sempre identico, fino a fermarsi per osservare la spia accanto al pulsante sul muro, nel desiderio profondo di un qualche ripensamento da parte di Luisa, magari per un suo improvviso ritorno all’indietro, per una dimenticanza, o soltanto per dirgli qualcosa di semplice però estremamente importante, forse per una distrazione verificatasi appena un attimo fa, ma in questo momento tornata presente tra tutti i pensieri, per poi osservare purtroppo lo spegnersi anche di quella debole luce, mentre dabbasso persino il silenzio, dopo la chiusura di botto del pesante portone, torna ad essere padrone di tutto il palazzo.

Bruno Magnolfi

 

Cara Luisa.ultima modifica: 2021-07-12T17:54:10+02:00da magnonove
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