Esame di stato.

 

Senza alcun indugio sono entrato dentro uno di quegli spaziosi ascensori d’acciaio che portano ai vari piani e ai reparti di questo immenso ospedale cittadino. Non ho dei particolari pensieri in mezzo alla mente, non mi sono neppure preparato qualcosa da dire a Corrado, e contrariamente a quanto faccio come è mio solito, magari per una ordinaria deformazione professionale maturata durante i lunghi anni di insegnamento al liceo, in questi ultimi minuti non ho voluto né immaginare, e neppure rifletterci sopra, alla concreta possibilità di ritrovarmi finalmente faccia a faccia con Angelica, correndo il rischio così di non sapere neppure come comportarmi nel caso fosse davvero venuta a far visita proprio oggi al suo cugino. Mentre tutti quasi in silenzio si continua a salire, mescolato come sono in mezzo a questo gruppo eterogeneo di parenti e di visitatori dei vari ammalati,  realizzo improvvisamente però che forse in un momento così non riesco ad essere neppure capace  di affrontare un’eventualità di questo genere, e la voglia di tornarmene indietro, ancora prima di arrivare fino alla corsia dove è ricoverato Corrado, mi prende con forza, quasi come fosse una risaputa paura adolescenziale per un esame, o anche il comprensibile timore per una complessa interrogazione scolastica. Il fatto è che non ho riflettuto, non mi sono preparato adeguatamente ad un momento del genere, e provo il terrore improvviso di mostrarmi impacciato, privo di argomenti, per nulla a mio agio, e rovinare in questa maniera un’occasione che forse con lei non sarà più ripetibile.

Arrivo al mio piano, e prima di entrare nel corridoio delimitato da una grande porta a vetri opachi, al di là della quale si aprono le tante camerette, mi soffermo per raccogliere i pensieri che mi girano sparsi, sedendomi su una delle tante sedie bianche collegate tra di loro fino a costituire una fila disposta praticamente ad angolo retto, quasi una specie di sala d’attesa, in questo momento comunque occupata soltanto da due o tre persone. Tiro fuori dalla tasca un piccolo temperino che spesso porto con me, ed estratta la lama minuta lo osservo a lungo mentre provo dentro di me l’assurdo desiderio di incidere con questa punta affilata una superficie qualsiasi tra quelle che ho attorno, e scrivere in bella vista con caratteri tremolanti la sola parola a disposizione che possa mostrarsi come un mio messaggio chiaro e inequivocabile per Angelica. Sorrido da solo delle mie assurdità da ragazzino, e mentre ripongo il coltello, penso al comportamento pavido e vile di cui sto dando inequivocabile prova, incapace come mi sto dimostrando persino di affrontare ciò che maggiormente sarebbe magari mio desiderio. Mi alzo quindi, osservo qualcosa di imprecisato attorno a me, come a cercare un sostegno, ma poi torno a sedermi. Infine mi decido, imbocco in modo risoluto la porta ed il corridoio che mi trovo di fronte, e in un attimo giungo davanti alla camera dove sta ricoverato Corrado. Angelica, al fianco del letto, mi nota senza che lui si accorga di niente, difatti sta coricato con la faccia rivolta verso l’alto senza fare alcun movimento, e lei mi fa un cenno misurato con una mano, e poi mi viene incontro mentre io mi blocco esattamente ad un passo dalla soglia di entrata. <<Oggi non sta molto bene>>, mi dice subito; <<forse un’infezione che è ancora in corso gli ha tolto le forze, e lui adesso non ha voglia d’altro che riposare con gli occhi chiusi: sembra molto spossato, non riesce neppure a sostenere la presenza di qualcuno>>.

<<Va bene>>, dico io, <<non importa; magari torno domani>>. Angelica mi mette una mano su un braccio, si vede che ha voglia di piangere, ed io mi sento completamente sfasato, come se non sapessi più neppure in che direzione guardare. Usciamo, ed andiamo a sederci esattamente dove ero io poco fa. <<Devo chiederti scusa>>, fa lei subito, con voce bassa. <<Tu sei una persona buona, e forse io neppure merito il fatto che ti stia interessando anche di me>>. Apro la bocca per dire qualcosa, ma poi resto in silenzio, forse per non sciupare in qualche maniera questo momento. Angelica adesso mi guarda con occhi profondi, e questo mi pare già sufficiente. <<La mia è una famiglia un po’ strana>>, aggiunge alla fine con un filo di voce, <<in ogni caso ho compreso, grazie anche a te, che essere capaci di stare vicino l’uno all’altro sia la cosa più importante di tutte>>. Annuisco, non so assolutamente che dire, o anche cosa rispondere, perché lei adesso mi accarezza una mano, e forse in fondo è sufficiente così: non mi pare neanche ci sia bisogno di altro.

 

Bruno Magnolfi

Esame di stato.ultima modifica: 2021-06-05T19:03:48+02:00da magnonove
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