Lui non va via.

 

 

Fuori da qui è tutto grigio, non c’è niente per cui valga la pena di uscire. Lungo il corridoio si contano ben trenta passi fino alle scale, poi non resta che tornarsene indietro. La sua cameretta lui la divide con altri due tizi, difficile riuscire a starsene là dentro con loro durante la giornata. Perciò ad ogni ora, esclusa la notte, vaga tra tutti i corridoi della costruzione, si ferma ad osservare qualcosa dalle finestre ferrate, scambia qualche parola con gli inservienti che lo conoscono bene, e perde tempo da solo riflettendo su tutto quello che gli viene alla mente. Cosa gli interessa di quanto sta accadendo fuori da quelle mura: la sua esistenza si svolge tutta là dentro, in mezzo agli altri degenti come lui, che prima o dopo sono finiti lì in mezzo, dopo varie depressioni, tentativi di suicidio, terapie psichiatriche di ogni genere. Le famiglie generalmente, trascorsi i primi tempi pieni di speranze, non ne vogliono più sapere niente di ognuno di loro, e così finisce che i ricoverati non trovano più alcuna ragione per desiderare davvero di tornare dai propri parenti. Le scale hanno due rampe da otto gradini ciascuna, più i larghi pianerottoli naturalmente, ma molti tra loro non ci si avvicinano neppure, quasi tutti hanno paura dello sprofondamento perlopiù, così rimangono per tutto il giorno al piano superiore, a meno che un inserviente non li accompagni dabbasso, dopo molte insistenze e rassicurazioni.

Quelli gravi stanno in un’ala speciale, e siccome sono pieni di sedativi, non si vedono mai, se non in casi speciali. C’è anche il giardino, se uno proprio lo desidera, ma devi essere sempre accompagnato, perciò è un rompimento per tutti, e così nessuno lo frequenta. La porta principale è doppia, per aprire la prima basta suonare il campanello da fuori, per la seconda c’è bisogno di un inserviente che azioni un meccanismo dopo aver controllato tutto quanto. L’ingresso è una stanza maestosa di venticinque passi per quasi diciotto, e spesso sostano in diversi da quelle parti, prima o dopo il pranzo, qualcuno ridendo, altri parlando tra sé, gli ultimi in silenzio. Gli inservienti riescono ad essere duri quando vogliono, e se qualche degente rompe un po’ troppo le scatole a qualcuno di loro, gli arriva subito una lezione diretta. Credo che a nessuno del personale piaccia stare qua dentro: quando uno finisce il suo turno cambia subito espressione, tira un sospiro di sollievo ed imbocca la porta sul retro felice come una pasqua. Quell’uscita posteriore si apre soltanto con la chiave elettronica, ed immette direttamente al parcheggio delle automobili. Quando qualcuno tra i degenti sta male davvero, allora arriva l’autoambulanza e se lo portano via da quella parte.

Lui comunque nella sua cameretta resta soltanto a dormire. Non ci parla neppure con gli altri, gli sembrano tutti completamente fuori di testa, e quando qualcuno di loro si avvicina per chiedergli qualcosa, risponde soltanto con un cenno, un gesto della mano, o un’alzata di spalle. Lui non vuole scappare da lì come dicono quasi tutti, anche se forse saprebbe come riuscirci. Non c’è gusto ad andarsene via, non saprebbe neppure verso dove, e poi tutto si complicherebbe e sicuramente gli inservienti gli darebbero subito la caccia. Perciò se ne sta lì, senza chiedere niente a nessuno, e quando sente qualcuno vicino che inizia a parlare di fuga, lui si allontana: non vuole essere preso nel mezzo dei loro piani, facciano pure tutto quello che vogliono, ma senza di lui.

Così un giorno, mentre è da solo dentro al salone dell’ingresso, qualcuno tra gli inservienti, forse di proposito, lascia aperta la porta sul retro, nascondendosi dietro un angolo nell’attesa di vedere cosa mai avrebbe combinato. Lui non si è fatto certo fregare, ci sono circa cinquanta passi da lì prima di arrivare al cancello che dà sulla strada, ed è rimasto immobile per tutto il tempo, senza preoccuparsi di nulla, come se tutto fosse al suo posto, e quando alla fine si è fatto vivo uno degli inservienti per vedere se gli venisse in mente qualcosa da dire, lui ha fatto soltanto un piccolo cenno, indicando quel varco rimasto spalancato, quasi a rimproverare tutti quanti che stessero più attenti, che forse qualcuno si sarebbe potuto approfittare della situazione, e magari andarsene via.

Bruno Magnolfi

Lui non va via.ultima modifica: 2020-08-26T19:15:07+02:00da magnonove
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