Sogno sperato.

 

“Si è spostato, tutto si è spostato lentamente, senza che neppure ce ne fossimo accorti. Avevo in mente certe cose qualche tempo fa, ed adesso sono cambiate, anche se non in maniera radicale, però almeno di un pochino alla volta, quasi che fosse sufficiente uno scricchiolio ogni giorno, per formare poi una crepa vistosa. Vi guardo e vedo persone che non conoscevo, anche se ci siamo frequentati per un sacco di tempo; lo stesso probabilmente dite voi di me e di tutti gli altri, è evidente. Non lo so neppure, stasera, di che cosa vi voglia parlare, sempre che abbiate il desiderio di concedermi ancora la vostra attenzione, però quello struggimento che prende quando ci accorgiamo che tutto ci sta scivolando di mano, adesso è proprio qui questa sera, insieme a noi, e non possiamo neppure fingere che sia qualcosa di un’altra natura”.

Poi smetto, lascio il microfono, qualcuno mi applaude, come sempre succede quando uno di noi prende la parola per dire delle cose generiche, quasi scontate. Un appello alla ragione, un altro alla lungimiranza, nessun intervento divisivo, anzi, una ricerca costante del collante migliore per tenere assieme le volontà che sembra desiderino andarsene per conto proprio. Le idee di molti spesso galleggiano sul niente: delle impressioni, certe scelte fatte di pancia, quasi sempre senza ragionamenti. “Dobbiamo programmare qualcosa, prevedere in qualche maniera il futuro, essere capaci di mettere a fuoco dei pensieri che abbiano valore per tutti, non soltanto per qualcuno”.

Nella sala del circolo nessuno ha più voglia di affrontare argomenti pesanti, di discutere su quale posizione tenere nei confronti di un fatto o di un altro. L’accordo tra noi rimane latente, forse non c’è, e non si aspetta altro che sciogliere anche questa riunione per riprendere ognuno il proprio parere, le medesime idee che aveva anche prima, a dimostrazione del fatto che siamo composti di una medesima pasta, e non ci lasciamo imbambolare da chi parla meglio o ci sa stare di più dietro al microfono. Le manciate di parole adoperate per spiegare qualcosa, alla fine sono sempre le stesse, ed anche se ci impegniamo parecchio per costruire delle frasi che funzionano meglio nel veicolare i nostri pensieri, alla fine tutto rimane circoscritto intorno a concetti ormai risaputi.

Mi lascio pagare un caffè al bancone del locale vicino, c’è sempre qualcuno che ti batte una mano sopra la spalla, e ti dice di pensarla alla stessa maniera, anche se tutto questo non ha alcuna importanza, e quella medesima persona sia disposta a dire la stessa cosa a moltissimi altri. Tutto peggiora, vorrei quasi rispondergli: ed anche questo caffè non è più buono come quello di un tempo. Poi alla fine esco, l’aria fresca di questo periodo sembra rigenerare anche le serate incompiute, ritrovo i miei passi sopra la pavimentazione stradale, le mie tasche dove lascio sprofondare le mani, il mio sguardo sempre vigile nel tenere sott’occhio quanto mi accade d’intorno. Non so quale senso sia possibile dare a tutto questo: forse è soltanto un continuo modellare la realtà in funzione della voglia che viene mostrata; forse era del tutto inevitabile che le cose prendessero prima o poi questa piega. Mi pongo delle domande a cui non contrappongo nessuna risposta, soltanto supposizioni.

Probabilmente devo smettere persino di pensare: prendere una vacanza mentale, farmi un giro chissà dove, a caccia soltanto di svago, di sensazioni diverse, e quindi tornare, ma dopo un bel po’ di tempo, come fossi uno straniero che arriva da queste parti senza sapere niente di questo posto, e non conosce qui attorno proprio nessuno. Ecco, soltanto così potrei avere finalmente idee nuove, soluzioni, proposte: come se ripartire da capo fosse quasi un inizio, un avvio che forse non avrei mai immaginato, un sogno di quelli che ormai non riesco più neppure a sperare.

Bruno Magnolfi

 

Sogno sperato.ultima modifica: 2020-01-14T21:00:51+01:00da magnonove
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