Calmo viatico.

 

Inizialmente doveva pensarci, almeno certe volte, e fare ogni cosa quasi per una auto imposizione, come una decisione ormai presa una volta per tutte; ma adesso, dopo tutto questo tempo, le viene assolutamente naturale, come qualsiasi altro gesto che si compia senza neppure riflettere. Sono trascorsi ben dieci anni da quando lui se n’è andato, quasi senza lasciarle una spiegazione plausibile, una motivazione razionale, un elemento, almeno abbozzato, di riflessione accettabile sulle ragioni per cui la loro relazione non avesse avuto fortuna, esclusi quei tre o quattro anni iniziali, quando tutto era parso perfetto, almeno per lei. Adesso che non ha più qualcuno a cui dedicarsi, nessuno a cui dovere delle spiegazioni, o motivare la propria condotta, quei suoi gesti e tutti i movimenti che prosegue a compiere in modo anche meccanico dentro l’appartamento in cui è rimasta da sola, si sono perciò come dilatati, e lei ha rallentato tutto quanto, quasi che il tempo da trascorrere le fosse apparso poco per volta ben più importante di ogni azione da compiere.

Persino quando la sua vicina di casa le suona il campanello, le rare volte in cui questo accade, lei arriva fino in fondo al corridoio per aprire la porta con una lentezza quasi estenuante per chi non ne conoscesse le ragioni profonde. Molte volte le è già accaduto di osservare un oggetto che rotola sopra il suo tavolo di cucina, e infine cade, senza che lei muova in fretta una mano per evitare che questo succeda, o per provarne almeno un blando tentativo. Le ha lasciato una rendita lui, un bel gruzzolo che le permetta di non preoccuparsi di nulla, almeno da quel punto di vista, ed il senso di inutilità in cui lei si è sprofondata pian piano è tale da costringerla in una specie di sfera del tutto personale e intoccabile. “Come va, oggi?”, le chiede la vicina mentre lei con tutta la calma del mondo la lascia entrare dentro la sua casa. L’osserva, si ferma, muove una mano, si inumidisce le labbra prima di rispondere, e poi spiega: “direi bene, tutto sommato; ho pensato persino di uscire nel pomeriggio, ma poco per volta ho finito per abbandonare l’idea, e così eccomi qua”.

Ogni parola naturalmente è ben scandita, ogni frase quasi una nenia interpretata al rallentatore, ma oramai non sembra affatto che reciti, e piuttosto, almeno chi non la conosce, sarebbe quasi portato a pensare che la sua è una qualche strana malattia ti tipo nervoso, come una specie di stato di agitazione al contrario. Forse è proprio questo il senso finale che lei intende mostrare soprattutto a se stessa, ma alla fine anche agli altri: niente per lei è più come una volta, anzi lei stessa è diversa, come attaccata da un male incurabile, un morbo tanto complesso e quasi unico, tale da produrre in una persona fragile e sensibile quale lei si ritiene, un comportamento di difesa così semplice e contemporaneamente stravagante. “Se ha bisogno di qualcosa”, le dice ogni volta la vicina che mantiene un atteggiamento deferente ma distaccato con lei, “non si periti a suonare il campanello del mio appartamento”. “Grazie”, generalmente è la sola risposta che ottiene, e mentre va via, aspettando con calma che lei le manovri la porta che dà sul pianerottolo in comune, non manca mai di pensare che in fondo è soltanto una povera donna che forse andrebbe aiutata.

Lei sorride mentre non manca di dare un giro di chiave al portoncino del suo appartamento, e poi in maniera estenuante si volta, e torna a muovere dei passi lentissimi generalmente fino a tornare al suo posto preferito per stare in casa seduta: vicino alla finestra cioè; ma non tanto perché da lì è possibile osservare qualcuno che si muova lungo la strada, quanto perché riesce, vicino ai vetri, ad apprezzare appieno, osservando le chiome degli alberi allineate lungo il viale, la saggia e caparbia lentezza della luce del sole durante ogni giorno, quasi un viatico per i suoi pensieri.

Bruno Magnolfi

Calmo viatico.ultima modifica: 2019-12-26T20:13:25+01:00da magnonove
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