Estraneo.

 

Ho sempre avuto un difetto. Mi hanno guardato, mi hanno studiato, si sono dati da fare amici e conoscenti per scoprire quale fosse la vera natura di una cosa del genere. Poi hanno desistito, ed anche i parenti più stretti si sono disinteressati di tutto, visto che alla fine io stesso mi dimostravo ogni volta indifferente a qualsiasi risultato. Così convivo da sempre con un qualcosa che non è neppure stato del tutto compreso, ma sui risultati del quale chiunque se vuole può facilmente rendersi conto. Oggi mi guardo attorno e mi sento una persona comune, anche se dentro di me prosegue ad essere attivo questo elemento di diversità.

Certe volte vado a piedi fino alla sede di un’associazione di volontariato che si occupa di persone anziane. Vorrei dare una mano, così mi intrattengo a parlare con qualche vecchio che normalmente sta da solo a guardare nel vuoto e a disinteressarsi di tutto. Prendo una sedia, mi metto lì accanto, dico qualcosa con calma, senza attendermi necessariamente una qualche risposta. Capita che nessuno abbia degli argomenti, così anche io dopo un po’ resto in silenzio, cercando in qualche modo di immedesimarmi negli sguardi sfocati di chi mi sta più vicino. Non mi aspetto un bel niente, eppure qualche volta riesco a registrare un semplice gesto, un’espressione in un viso rugoso, una debole esclamazione improvvisa, che dimostra quanto venga apprezzato il mio sforzo, ed è soltanto la mancanza momentanea di parole adeguate penso, ad imporre quel perenne silenzio.

In fondo non c’è bisogno di spiegare un bel niente rifletto, la cosa importante è soltanto sapere che ognuno se vuole ha la possibilità di dire qualcosa, anche se non lo fa. In questo modo la compagnia che offro a queste persone sembra quasi una ben poca cosa, ma per loro non è così, e apprezzano il mio strenuo impegnarmi, rifiutando sdegnosamente dentro se stessi di considerarmi superficialmente come uno di loro. Sto lì, osservo qualcosa, rimango in silenzio, e qualche vecchio ogni tanto mi guarda come per comprendere meglio il mio compito, semmai ne abbia uno. “Sta qua”, sembra vogliano dirmi tutti quando infine mi alzo per uscire ed andarmene, e la mia sensibilità  generalmente è subito pronta ad interpretare questi pensieri.

Mentre torno a casa poi, ripercorro con la mente tutto quanto ciò che è successo, anche se in apparenza non è accaduto un bel niente, e mi rendo sempre più conto che non si può essere diversi da quello che effettivamente noi siamo. Mi fermo per allacciarmi una scarpa, sorrido, sento il mio difetto che dentro di me spinge ad essere onesto e riguardoso verso tutto ciò che ho attorno, e so per certo che anche io come tanti non potrò essere diverso. Quando infine mi ritrovo dentro casa mia accendo la televisione, e mi pare impossibile che il mondo là dentro sia costituito da gente così distante dai miei pensieri. Proseguo a darne la colpa al mio difetto di sempre, forse perché è anche la cosa più facile da fare, e in ogni caso la distanza che sento marcare non può essere soltanto un problema del tutto personale: ci dev’essere per forza una visione più oggettiva di tutte le cose, anche se a nessuno sembra mai interessare. Devo evitare di immaginare il mondo lontano da me, anche se non possono essere le persone come me ad aver aumentato la distanza col resto. Domani tornerò da quei vecchi rifletto, è l’unica cosa da fare in questo momento, perché in fondo a quei loro sguardi c’è molto più significato che in qualsiasi altro angolo si possa andare a cercare.

Bruno Magnolfi

 

 

Estraneo.ultima modifica: 2019-08-09T11:37:00+02:00da magnonove
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