Soccorso finale.

 

Certe volte appoggio l’orecchio al lato interno della porta di camera mia, e resto in ascolto nella medesima posizione anche piuttosto a lungo, cercando di comprendere le parole che si scambiano tutti i miei familiari mentre continuano a conversare tra di loro. Loro si muovono avanti e indietro nelle altre stanze della casa, affrontando a voce alta, come fanno spesso, gli argomenti più diversi, e in qualche caso finiscono per parlare anche di me. Ho bisogno di sapere con anticipo cosa verrà deciso, questo è il punto, perché se loro, come ho già intuito, volessero farmi tornare di nuovo in quella clinica dove sono già stato anche per troppo tempo, stavolta sarei disposto a saltare subito giù dalla finestra e scappare via da qui. Non mi fa paura niente, la mia stanza si affaccia sulla parte posteriore del giardino della villa, basta che io mi cali lentamente tenendomi con le mani al davanzale, e dopo un piccolo salto sarei a posto. La recinzione del giardino invece è alta, ma c’è un buco segreto in fondo a un angolo, dietro dei cespugli: basta strisciare sulla terra e in un attimo si riesce a guadagnare la strada comunale.

Quando vengono da me sono tutti molto cortesi: mi chiedono come mi senta, di che cosa abbia maggiore desiderio, e così via. Ma io ho capito da lungo tempo che senza dirmelo direttamente si vogliono di fatto liberare della mia presenza, rinchiudendomi di nuovo tra dottori ed infermieri, per farmi imbambolare con una miriade di calmanti e lasciarmi in una branda a vegetare chissà per quanto tempo questa volta. Loro credono di essere dei furbi, di potere fare di me quello che vogliono, sostenendo che io riesca ad essere persino pericoloso in certi casi, pur di far accettare a tutti quelli che mi conoscono l’idea che io non possa rimanere ancora a lungo in questa casa. Mi vogliono estromettere, ecco, sistemarmi in un luogo dove non possa nuocere alla loro tranquillità, e soprattutto che non torni a chiedere, come sarebbe assolutamente giusto, la mia parte di patrimonio.

A me non interessa niente dell’opinione di tutti questi miei parenti: io voglio fermamente restare qui, deve essere chiaro, perché questa, grande com’è, è anche casa mia; ma sono disposto ad affrontare non so neppure io quali disagi, pur di non accondiscendere neanche in parte a questa loro volontà. Soltanto perché me ne rimango giornate intere per conto mio, senza chiedere niente più che consumare i pasti dentro la mia camera, ed impegnarmi da solo nei miei semplici passatempo, loro sono sempre stati pronti a definirmi un tipo asociale ed una personalità completamente disadatta ai contatti con tutti gli altri. Non mi aspetto niente di buono da quelle loro bocche rosee, se non parole che denigrano ogni mio comportamento. Non li odio, semplicemente li sopporto a malapena, e comunque se si tengono alla larga dalla mia stanza per me è già sufficiente.

E’ anche vero che una volta fuori non saprei proprio dove andare: agli inizi magari vagherei per la città utilizzando questi soldi che sono riuscito a mettere da parte; in seguito però, considerando che ho l’indirizzo di un avvocato che mi può aiutare seriamente, potrei tramite lui o un suo collega, far valere appieno i miei diritti, e difendermi degnamente in questa mia battaglia contro tutti. È venuto a casa nostra qualche volta, e mi ha sempre stretto la mano con grande cortesia, informandosi immancabilmente circa le mie condizioni di salute. Lui sta dalla mia parte, questo è evidente, e ci sarà bisogno di ben poco per fargli capire che il mio dovrà essere niente più che uno strenuo salvataggio, un riprendere appieno la mia vita, insieme a tutto ciò che mi spetta di diritto, naturalmente, al di sopra di qualsiasi diversa ed infondata convinzione.

Bruno Magnolfi

Soccorso finale.ultima modifica: 2017-02-01T20:31:05+01:00da magnonove
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