Una ragione per parlare.

            

            Non riesco a comprendere il motivo che ti porta a chiedermi una cosa del genere, aveva detto Alessio senza scomporsi. Carlo aveva osservato l’amico, e forse aveva avuto voglia di atteggiare la sua faccia ad un debole sorriso, ma non lo fece, limitandosi come a prendere tempo muovendosi lentamente dentro la stanza, fino a raggiungere la libreria piena di testi e di volumi. Poi aveva estratto dallo scaffale una pubblicazione, aprendo rapidamente una pagina a caso, e sprofondandosi con intensità, almeno apparentemente, in quella fugace lettura.

            Alessio a sua volta lo aveva osservato: non si aspettava una risposta, almeno celere; l’indole taciturna di Carlo era notoria quasi in tutto l’ateneo, e per di più non era suo solito lasciarsi andare alla conversazione diretta, rispondere a delle domande, oppure porne a sua volta, tendendo piuttosto a prendersi lunghe pause  di riflessione che spesso ne rendevano il comportamento misterioso e per alcuni addirittura affascinante.

            Forse dal corridoio qualcuno poteva aprire la porta, entrare e interromperli, pensava Alessio mentre tornava a sedersi su una vecchia sedia di legno dai braccioli sagomati, ma lui non se lo augurava, non tanto perché aspirasse a rimanere ancora a lungo da solo con Carlo, quanto perché gli piaceva assaporare quel silenzio carico di aspettative, quasi il prolungamento di una pausa subito prima di qualcosa che deve pur accadere, però il più tardi possibile, quasi che il tempo riuscisse in quei frangenti a rallentare il proprio battito.

            Carlo proseguiva a leggere, Alessio si accorse soltanto allora  che a giudicare dalla costola della copertina doveva trattarsi di un classico, forse la Tempesta, o addirittura Romeo e Giulietta, e che il suo amico forse si era semplicemente lasciato andare alla recitazione mentale di qualche famoso passaggio. Così non aveva detto niente, forse pensando che non aveva più alcuna importanza parlare, cercando adesso semplicemente di provocare quasi d’istinto un piccolo rumore, uno qualsiasi, lo spostamento leggero della sedia su cui era seduto ad esempio, come per tornare a mostrare la propria presenza dentro lo studio, semmai fosse stata per qualche motivo dimenticata.

            L’altro allora aveva chiuso il libro sorridendo vagamente tra sé, e infine, tenendo ancora il volume dentro le mani, si era volto in direzione di Alessio, si era fermato ad osservarlo con profondità, e poi aveva detto: un momento fa avevo soltanto voglia di vedere per un attimo la tua bella bocca parlare, le tue labbra schiudersi, articolare parole; così come in questo momento provo la volontà di baciarla quella tua bocca, anche se non so proprio spiegartene il vero motivo.

 

            Bruno Magnolfi

Una ragione per parlare.ultima modifica: 2013-06-26T11:53:27+02:00da magnonove
Reposta per primo quest’articolo