Il progresso genetico (ritratto n. 7)

            

            Fruscia il vento tra le foglie degli alberi, quasi un richiamo, un incoraggiamento a fare, a pensare, a discutere. A motivare i propri comportamenti, anche, come se tutta quest’aria che si muove non portasse con sé anche qualcosa di diverso da accettare, così, senza il desiderio di ulteriori spiegazioni, accogliendo ogni idea, ogni soluzione, indipendentemente da qualsiasi altra possibilità.

            Giovanni pensa di sé di non essere adatto a cogliere quelle intuizioni che gli piacerebbe fossero alla sua portata. Ciò nonostante esce di casa, passeggia per le strade, a volte saluta qualche conoscente che incontra. Ci si muove sempre e solo su uno stesso piano, pensa, soltanto in casi rarissimi sembra che il dialogo riesca ad approfondire le nostre riflessioni, ma questa percezione generalmente evapora con rapidità, lasciando poco più che il niente dietro di sé.

            Lui entra in biblioteca, conosce l’impiegata, le dice che vorrebbe tanto leggere un libro che gli aprisse la mente, che gli desse qualche spiegazione su ciò che lui avverte, ma che non riesce mai ad afferrare. Non è un bramosia di conoscenza la sua, solo la volontà di venire a contatto con ciò che sente davvero dentro sé, quell’aspetto misterioso che lo fa sentire estraneo a tutto, quasi fuori dai comportamenti abitudinari che pur vorrebbe avere.

            Una frequentatrice della biblioteca, casualmente accanto a lui, gli dice che è strano che non si sia già riferito ad una disciplina mistica, in quanto sembrerebbe proprio ciò di cui lui sente il bisogno. Giovanni la guarda, lascia correre senza replicare niente, poi saluta i presenti ed esce dalla biblioteca. Non sente la necessità di rinchiudersi in qualcosa che stringa ancora di più la sua sofferta solitudine: ha bisogno degli altri, di parlare, di comprendere, di ascoltare le diverse concezioni, di valutare la sensibilità delle persone quand’essa si manifesta, e di confrontarla con la sua, ma soprattutto di dar fiato a quella voce che nasconde dentro, come ingrediente quasi estraneo alla vita e all’esistenza.

            Torna a girare per le strade, Giovanni, il suo sguardo chiede aiuto, i suoi passi cadenzati vorrebbe fossero una marcia di avvicinamento a ciò che gli sta a cuore, ma si rende conto che quel salto di qualità che forse ci vorrebbe per svelare i suoi interrogativi, è ben lontano dal farsi avanti. Infine si immobilizza sopra al marciapiede, si guarda attorno, ferma la prima persona che passa accanto a lui, e chiede: sono qui, resto immobile adesso, ho bisogno soltanto di sapere verso dove devo dirigermi, come posso fare per utilizzare il lavorio che sento dentro me, affinché magari sia utile a qualcuno, o almeno mi metta in contatto con chi sente la stessa mia inquietudine, con chi non vive appagato senza cercare qualcos’altro. La persona osserva Giovanni in fondo agli occhi, dice: non so, forse è soltanto dato da un’anomalia biologica quello che senti, probabilmente è un qualcosa destinato a scomparire nella coscienza delle generazioni che verranno, quando tutto sarà migliore, in quel futuro purificato dagli errori di adesso; devi crederlo anche tu, perché la genetica porterà senz’altro dei miglioramenti, anche il pensiero forse apparirà più semplice, e persino il tuo malessere di oggi infine scomparirà del tutto.

            Bruno Magnolfi

Il progresso genetico (ritratto n. 7)ultima modifica: 2012-08-18T17:17:00+02:00da magnonove
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