Scena n. 23. Dimostrazione di capacità.

             

            Per un attimo ho tremato, dico al mio amico cercando di fargli immaginare la scena. Dovevo superare l’attimo buio, gli spiego, il momento difficile, la cosa più importante di tutte. Pareva che gran parte della mia esistenza fosse stata convogliata fino a quell’attimo, che tutto si fosse raddensato in quel punto, ed io disperatamente, all’improvviso, vivevo dentro di me, come in un incubo, la certezza di mancare la prova, di non riuscire in quanto mi era dato di dimostrare. Certo, probabilmente non avrei neppure dovuto provare, dico ancora al mio amico, che sembra proprio comprendere facilmente quanto gli vado spiegando; la strategia più adeguata, probabilmente, sarebbe stata quella di evitare qualsiasi riflessione, ogni ragionamento, concentrarsi su un’immagine assolutamente estranea alle cose, e lasciare che la parte più istintiva di me emergesse, fino a portare ogni speranza oltre l’ostacolo.

            Il mio amico all’improvviso ha come un momento di distacco da quanto gli vado dicendo: si alza dalla sua sedia, compie qualche passo con calma sopra le assi nude del palco, sembra che cerchi con sforzo di dire qualcosa. Invece si ferma, alza la testa, guarda per un attimo il pubblico con sguardo severo. Impossibile non riuscire a far fronte ad una cosa d’importanza così decisiva, dice come a se stesso. Difatti, faccio subito io; è esattamente quello che anch’io in quell’attimo avevo dentro la mente, ma proprio per questo, non so per quale altro motivo preciso, ero contemporaneamente anche quasi sicuro che avrei fatto fiasco.

            Entra la donna, con passo svelto, ma si ferma davanti a me ed al mio amico, ci guarda, porta una mano alla sua ciocca di capelli legati con un elastico dietro la nuca, quasi per un gesto composto poco per volta dall’abitudine. La sua espressione evidenzia incertezza, il mio amico le dice: stiamo soltanto parlando di cose senza importanza. La donna annuisce, senza alcuna convinzione, poi si rivolge a me, ma in modo impersonale: un fallito, ecco chi abbiamo davanti; una persona che neppure riesce a mostrare quello che vale, sempre ammesso che valga qualcosa. Poi si volta, porta la mano davanti alla faccia, come a nascondere una vergogna incipiente, e resta in silenzio.

            Ecco, dico io, rivolgendomi di nuovo al mio amico; avrei fatto di tutto per evitare questo risultato, eppure, quando è stato il momento, le mani mi hanno tremato, gli occhi si sono rifiutati di vedere bene, non hanno avuto la chiarezza di cui c’era bisogno. Il mio amico sente di dover dire qualcosa, così alza la mano come a fermare le parole che continuo a mettere insieme, quasi a indicare che ormai è tutto chiaro, non c’è alcun bisogno di aggiungere altro. Chiunque di noi avrebbe fatto lo stesso, dice con parole che immediatamente suonano false, consolatorie, messe su apposta per chiudere definitivamente quell’argomento.  

            Mi sembra quasi di perdere l’equilibrio, pur proseguendo a restare fermo, in piedi, quasi inchiodato sul palco di legno. Infine mi muovo leggermente, mi sembra che la distanza con le persone che mi circondano si sia fatta maggiore di qualsiasi altra volta, i miei pensieri chiedono se possa essere giusto pagare così tanto in un’unica soluzione. Poi volto le spalle alla gente, raccolgo le idee, credo di non avere più niente da perdere. Così torno a guardare tutti quanti negli occhi, quasi con espressione di sfida: adesso sono maggiormente convinto di me, dico, sento una maggiore determinazione, una compostezza profonda; anzi, ora sono sicuro che niente avrebbe potuto essere minimamente diverso. Mi rivolgo al pubblico, chiarisco: l’errore mi ha mostrato la strada, dico quasi con foga; la mia vita adesso ha prodotto in me uno scarto in avanti, mi sento migliore; potrei addirittura dimostrarlo.

            Bruno Magnolfi

Scena n. 23. Dimostrazione di capacità.ultima modifica: 2012-03-02T20:35:09+01:00da magnonove
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