Un albero vicino a cui piangere.

            

            Presto, sali, aveva detto Rino alla ragazza nello stesso momento in cui le aveva aperto lo sportello della sua auto, senza neppure che fosse particolarmente chiaro il motivo di tutta la fretta. Lei aveva eseguito, si era seduta e lo aveva osservato per un attimo come cercando nel profilo del viso una spiegazione sul luogo dove stessero andando. Lui, con gesti precisi, aveva fatto riprendere velocità all’automobile, poi aveva svoltato ad alcuni incroci, e con il suo modo di comportarsi, aveva dimostrato subito, con grande evidenza, di sapere perfettamente dove stesse recandosi.

            Erano rimasti in silenzio per alcuni minuti, Rino pareva concentrato nella sua guida, la ragazza guardava la strada davanti alla macchina, come cercando di decifrare ciò che passava davanti ai suoi occhi. Il pomeriggio di quella giornata continuava ad essere uggioso nella stessa maniera come lo era stata tutta la mattina, e il tergicristallo esibiva con metodo un piccolo rumore a ogni giro, quasi un lamento. Credo di non essere mai stata da queste parti, aveva detto lei come tra sé, e lui aveva annuito conservando l’espressione del viso quasi imbronciato. Infine aveva risposto qualcosa che non significava un bel niente: andiamo da un amico, aveva spiegato, prendendo per una strada ormai fuori città, costeggiando un canale e una fila di alberi vecchi e mezzi rinsecchiti.

            La ragazza aveva iniziato a provare un certo disagio, forse dato dalla paura che qualcosa le stesse sfuggendo di mano, e in fondo non aveva alcuna volontà di fare cose particolari, neppure di conoscere quell’amico di Rino. Già, Rino: se ci pensava un po’ meglio, le veniva a mente che non era neanche troppo tempo che lo frequentava; le era sembrato da subito un ragazzo come gli altri, per questo aveva accettato varie volte di uscire con lui, anche se in fondo, della sua personalità, che ne sapeva? Avevano anche parlato poco tra loro da quando avevano iniziato a vedersi, e non c’era ancora stato il tempo necessario per chiarire perfettamente i loro punti di vista, di questo era certa.

            A lei adesso sembrava addirittura di non avergli detto niente di sé, di non avergli spiegato per nulla cosa pensava davvero, il limite oltre il quale non avrebbe voluto mai andare, per esempio, e altre cose del genere. Forse lui aveva addirittura travisato qualche discorso che lei si era lasciata sfuggire, soltanto per sentirsi più grande, per darsi maggiore importanza. Adesso però le pareva il momento: avrebbe voluto dirgli qualcosa, interrompere quella corsa in auto assolutamente insensata, avrebbe desiderato con tutta se stessa che Rino voltasse la macchina, che la riportasse indietro, nel suo quartiere, dove poteva magari recarsi al solito bar, in un posto dove lei provava il senso di sicurezza, in mezzo alla gente che conosceva, dove nessuna preoccupazione le avrebbe mai sfiorato la mente, ma adesso si sentiva quasi paralizzata, non riusciva più neppure a parlare.

            Rino infine aveva accostato la macchina al bordo stradale, dopo avere rallentato gradualmente l’andatura, e si era andato a fermare proprio in prossimità di una vasta piazzola in terra battuta, accanto ad un campo scuro probabilmente arato da poco. Aveva spento il motore, si era voltato lentamente verso la ragazza, ma soltanto per dire : ecco, ti presento il mio amico, il più grosso albero di quercia che io abbia mai conosciuto. La ragazza allora aveva osservato con occhi increduli la pianta enorme vicino alla strada, ne aveva osservato il tronco larghissimo e la miriade di rami e di foglie che ne formavano la chioma, poi era tornata a volgere il suo sguardo su Rino, e le era venuto da piangere, anche se ormai non sapeva neppure spiegarsi il perché.

            Bruno Magnolfi

Un albero vicino a cui piangere.ultima modifica: 2011-12-16T22:18:33+01:00da magnonove
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