Scena n. 8. L’incubo del cavaliere

Un uomo avanza uscendo dal buio, vestito come un cavaliere di altra epoca. Il suo passo è deciso, lo sguardo fermo si appunta lontano, proprio laggiù dove le colline dai fianchi morbidi svaporano nel grigio di una leggera foschia. Si ferma, resta immobile nella sua posizione sotto alle luci del palco, i suoi occhi non accennano ad alcun tentennamento.

Sono solo, nella mia ricerca di eroismo e di integerrima fedeltà ai miei compiti, dice; guardo avanti, non capita mai che ascolti i miei dubbi, non succede che mi perda tra pensieri tortuosi. Sono fermo, in ogni mia scelta, e affronto il tempo come un contenitore di avversità da affrontare, a viso aperto, senza alcuna indecisione. Eppure, all’improvviso, sento che dentro di me qualcosa sta cambiando, senza che ne capisca il motivo, senza che questa variazione sia determinata da un elemento riconoscibile, da una mia perplessità.

Ho riposato sempre per la grande stanchezza che spesso provo, mai per il gusto di abbandonarmi all’oblio dei sogni e dei pensieri evanescenti; eppure adesso i miei sogni sembra quasi desiderino prendere il sopravvento sulla realtà che mi circonda: hanno iniziato a pormi delle immagini davanti agli occhi, come per una trasformazione della verità, e tutto ha cominciato ad essere diverso per me, tanto da confondermi, da rendere incerto ogni mio passo.

I tuoi fantasmi ti renderanno debole, dice un uomo che sopraggiunge lentamente, vestito da indovino, un gran mantello scuro e gli occhi che scrutano nel buio. Ma niente puoi fare per allontanarli da te, se non andare loro incontro, gettarti nelle loro braccia, affrontarli, come sempre hai fatto, piuttosto che resistere ai loro poteri. Potrei aiutarti, dirti quale sarà la tua strada, ma non servirebbe: è dentro di te che tutto nasce, dentro di te troverai ogni risposta.

Il cavaliere ha un gesto di stizza, come di chi vorrebbe togliere per istinto qualcosa da cui si sente infastidito, poi abbassa lo sguardo, le sue gambe tremano, con la mano sfiora la sua fronte, come di chi è preda di una grande prostrazione. Non so, dice, non conosco quale sia la maniera per sconfiggere un nemico che non vedo, che non sento, che non posso toccare. Anzi, un nemico che si sovrappone a me, senza che lo voglia, e mi determina, in ogni mio sviluppo.

Poi le luci sfumano sul palco, tutto trascolora, i due uomini si avvicinano tra loro come per infondersi coraggio di fronte a qualcosa che non sanno cosa sia, che non conoscono. Un’immagine si proietta sullo sfondo, è un volto femminile che sorride, che mostra sicurezza di sé, che guarda loro due come due poveri interpreti di un mondo che sta sfuggendo a qualsiasi controllo, che non è più affatto chiaro ed evidente come si vorrebbe. Infine il cavaliere sguaina la sua spada e ferisce mortalmente l’indovino: solo il mio istinto può salvarmi dall’oblio, dice; solo la mia determinazione può rendermi invincibile, solo la mia fede sarà così forte da sollevarmi sopra tutto, e rendermi nuovamente uomo, nell’umanità.

Bruno Magnolfi

Scena n. 8. L’incubo del cavaliereultima modifica: 2010-10-17T22:06:39+02:00da magnonove
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