Una morale da rivedere

Durante una notte terribile una persona qualsiasi da sola correva braccata da pesanti giudizi. Nessuno aveva mai voluto veramente il suo male, però dubbi sulla sua condotta, ironie sui comportamenti, insistenze sui motivi dei suoi gesti, l’avevano portata poco per volta ad allontanarsi da tutti. Non sapeva dove avrebbe potuto trovare riparo, in quali luoghi la valutazione di sé sarebbe risultata meno importante, ininfluente ai fini della sua vita. Eppure fuggiva, e fuggendo mostrava il valore delle parole che l’avevano colpita, perseguitata, ridotta a brancolare nel buio alla ricerca di una calma anche interiore.
Giovanna osservava alcuni ragazzi giocare in mezzo alla strada mentre aspettava l’autobus da sola, in un mano una busta di plastica, nell’altra il biglietto. Sette fermate e sarebbe discesa, come ogni sera, per andarsi a infilare in quel grosso palazzo di uffici dove svolgeva quel suo lavoro, da quasi tre anni. Faceva le pulizie, dalle sei alle nove, insieme a diverse colleghe, ognuna il suo piano, il proprio settore, divise in modo che ognuna fosse responsabile di ciò che faceva e non ci fossero chiacchiere e perdite di tempo. Conosceva gli uffici e le scrivanie della sua zona ormai a menadito, tanto da interpretare gusti e abitudini degli impiegati che nell’arco della giornata lavoravano lì, con il cestino della carta a destra o a sinistra, la scrivania riordinata o lasciata com’era, la sedia allineata o discosta, in un dialogo di oggetti che certe volte l’aveva persino divertita.
Lavorava a testa bassa, da sola, in silenzio, ma era una bella ragazza, Giovanna, a qualcuno pareva impossibile che non avesse fatto un po’ di carriera. Uno degli impiegati che una sera aveva fatto più tardi l’aveva notata, poco tempo più addietro, e si era subito fatto trovare in ufficio altre volte, spudoratamente per parlare con lei, per fare la sua conoscenza. All’impresa delle pulizie già non si parlava di altro, e Giovanna aveva chiesto al suo responsabile di cambiarla di piano, ma le altre si erano opposte, e tutto era diventato sempre più complicato.
Ma una volta Giovanna, che aveva trovato ancora quell’impiegato a aspettarla, con decisione era andato da lui, lo aveva guardato negli occhi, giusto per dirgli le cose com’erano, che doveva smetterla di farsi trovare ancora lì, per favore. Il giorno seguente tutti sapevano che quell’impiegato era stato con lei, non era difficile, diceva lui, bastava aspettarla. Così per lei quella era l’ultima sera di lavoro in quel palazzo di uffici. Aveva dato le dimissioni al mattino, alla sede della sua impresa, ma le avevano chiesto di lavorare ancora quel giorno se non voleva passare dei guai, e Giovanna si era lasciata convincere.
Aveva iniziato il suo turno puntuale, si era subito accorta che quella persona non c’era, così si era sentita tranquilla. Ma dopo poco era entrata dentro a un ufficio con il suo carrello attrezzato, e aveva visto che seduto ad attenderla c’era un altro impiegato, un collega del primo, e lei si era sentita sporca, perduta, infangata da gente priva di qualsiasi decente criterio. Così lo aveva ignorato, era uscita da quella stanza spostandosi in una successiva, e quando quello era andato da lei, le era venuto da piangere, ma l’impiegato non aveva capito il suo stato, e aveva sorriso, quasi scambiando quel gesto di lei per timidezza, per un pudore che era certo, con qualche semplice trucco, avrebbe velocemente perduto, mostrandosi quello che era realmente.

Bruno Magnolfi

Una morale da rivedereultima modifica: 2010-06-26T20:07:47+02:00da magnonove
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