Un dolore tra lo stomaco e il cuore

Cosa potevo pensare di me alla fine di un giorno qualsiasi praticamente sprecato alla ricerca di giustificazioni accettabili? Avevo lasciato scorrere gli ultimi anni quasi fossero materiale di altri, o senza importanza, come se il tempo fosse un involucro inerte lasciato in un angolo a lasciarsi riempire, senza criteri, senza scegliere niente. Al mattino avevo aperto gli occhi di scatto, giusto per rendermi conto che una serie di abitudini mi richiamavano all’ordine, ma le mie azioni riottose avevano subito iniziato a indicare che c’era qualcosa che era partito con un piede sbagliato. Non ero contento di me, in quel giorno qualsiasi; quasi come fosse la prima volta che pensavo una cosa del genere: davo seguito ai soliti gesti, alle faccende ordinarie, quelle di sempre, e qualcosa al mio interno, indipendentemente da tutto, pareva ribellarsi.

Osservavo la stanza in cui mi muovevo e continuavo a vedermi come allo specchio, diverso da sempre, immerso in una realtà non omogenea ai miei pensieri di ogni altro momento. Avevo caldo, in quel giorno qualsiasi, ridevo tra me, sistemavo qualcosa rimasto in disordine durante la sera. Cercavo rifugio nei vestiti da mettere, nei colori da abbinare, nelle scarpe più adatte. Provavo un malessere, un infido sottile dolore in un punto imprecisato tra lo stomaco e il cuore, e una testa sempre più vuota, o meglio persa dietro ai pensieri diversi dal solito, critici, insofferenti a come lei proiettava con le sue analitiche possibilità, ciò che avrebbe dovuto essere il resto del corpo.

La mia decisione di uscire di casa fu velocemente archiviata: continuavo a girare dentro la stanza, in quel giorno qualsiasi, cercando un appiglio, un semplice stupido appiglio che mi facesse ritrovare la persona che ero. Ma non mi sentivo realmente diverso, semplicemente non mi sentivo lo stesso. Poi spuntò fuori qualcosa che mi fece riflettere. Che senso aveva il mio soffrire alla ricerca di un elemento sfuggente, difficile, con ogni probabilità indecifrabile? Superficialmente pensai: nessuno. Ma in seguito dovetti ricredermi: chi ero io nel seguire qualcosa che pur non appartenendomi mi dava tranquillità e sicurezza indipendentemente da qualsiasi altro elemento? Non sapevo rispondermi, perseguivo qualcosa che fosse il più possibile rassicurante, anche se non era quello lo scopo. Poi provai a concentrarmi su problemi di ordine più quotidiano. Ma era complicato all’inverosimile, in un giorno qualsiasi, pensare che tutto era rinviabile: il problema c’era adesso, in quel preciso momento, non era assolutamente possibile gettarlo alle spalle per andare ad occuparsene in un altro momento, quando il senso delle cose magari fosse apparso più chiaro.

Così pensai di nuovo che era terribile accettare ogni pensiero, ogni elemento di realtà definita, come fosse qualcosa elaborato in modalità libera, priva di qualsiasi condizionamento. Girai più volte a piedi nudi dentro la stanza, mi parve che tutto intorno cercasse di contrarre ogni inquietudine in un alveo di normalità. Mi ribellai, quindi, gettai nel disordine qualsiasi cosa troppo accurata, me la presi persino con gli oggetti e i pensieri più inerti, fino a rendermi conto di quanto ridicolo fosse il mio atteggiamento. Infine, l’ultimo conclusivo pensiero di quel giorno qualsiasi andò a riguardare quella ribellione che non portava da nessuna parte. Così mi ritrovai ad avere semplicemente sprecato il mio tempo alla ricerca di una stupida giustificazione.

Bruno Magnolfi

Un dolore tra lo stomaco e il cuoreultima modifica: 2010-04-08T21:36:09+02:00da magnonove
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