Lo sconforto

“Non mi piace questo silenzio”, disse lei spostandosi verso la finestra come a cercare di là dai vetri chiusi una fonte di rumore che potesse toglierle quel fastidio. Lui non disse niente, si limitò ad osservarla per qualche minuto, poi si alzò con gesti lenti e misurati, si accostò ad un mobile della stanza e accese l’impianto stereo, lasciando che il compact disc che era già dentro al lettore, iniziasse a suonare, solo dosandone il volume fino ad un livello della musica appena percettibile. “Questa casa, ormai, è peggio di una tomba”, proseguì lei come a conclusione del suo pensiero. Lui passò svogliatamente vicino al tavolo basso, raccolse il bicchiere rimasto lì e bevve un piccolo sorso, constatando che il ghiaccio si era sciolto. “Potresti cambiare qualcosa, spostare i mobili, acquistare un tappeto nuovo”, disse lui. Lei ebbe un moto di riso, per appena due secondi, poi disse: “Non ne sento affatto la necessità”. Poi raccolse il libro che aveva letto fino a poco prima seduta nella sua poltrona preferita, piegò un angolo della pagina, e lo mise sopra al tavolo. “Sono stufa, persino di me stessa”, disse, e con un gesto meccanico si riordinò i lunghi capelli, passandoli sopra all’orecchio. “Eppure, quando decidemmo di venire a vivere in collina, lontano dalla confusione, sapevamo che era così…”, disse lui con una leggera espressione beffarda, come cercando di scavare nelle parole. Poi uscì dalla stanza, come conscio del fatto che lei probabilmente non avrebbe né risposto né commentato, ma quando tornò per salutarla, già con la giacca e il cane al guinzaglio, pronto per la solita passeggiata della sera, lei disse: “Le nostre abitudini sono così sedimentate che ormai non potrei tenere un comportamento diverso, neanche lo volessi”. “Questo è vero”, disse lui; “Ma non è il problema, ne è solo il contenitore”. Poi uscì, liberando il setter irlandese per lasciarlo correre sul prato, mentre il cielo si colorava intensamente dell’azzurro della sera. Lei lo osservò dalla finestra, ne seguì i passi, almeno fino a quando la strada con la ghiaia facendo una curva tra gli alberi non ne nascose la vista, poi si volse quando sentì gli occhi riempirsi di lacrime. Allora in fretta mise le scarpe, si gettò un maglione sulle spalle e corse fuori, dietro quella curva, seguendo quell’improvvisa necessità di assorbire la serata, di vivere quell’attimo, di abbracciarsi a lui, di sentire che era ancora viva e che tutto era ancora da decidere. Il cane la sentì e le andò incontro abbaiando, e a lei parve di star bene, di non avere bisogno di nient’altro.

Bruno Magnolfi

Lo sconfortoultima modifica: 2010-01-31T21:46:20+01:00da magnonove
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