La vertigine del caso

Ci sono delle volte in cui si perde la capacità razionale, ed altre in cui, anche più semplicemente, si immagina di perderla, ed altre ancora durante le quali si tenta di perdere la maggior parte di quella capacità per avere un alibi con cui suggellare le proprie piccole stupidaggini. Qualche volta poi ci si convince di essere entrati in chissà quale strana dimensione nella ricerca di illogiche supposizioni, ed è a quel punto che una vertigine ci prende. Ad aiutarci può essere un evento, una giornata particolare, una situazione; oppure, anche più spesso, una persona, con i suoi modi, le sue espressioni, per tutto ciò che in quel dato momento rappresenta per noi. Una persona, anche soltanto rimanendosene ferma, in silenzio, senza alcun ammiccamento, può farci provare grandi sentimenti, può farci perdere la testa, senza che neppure sia spiegabile il motivo o il percorso mentale di tutto questo, senza spiegazioni di quel traghettamento che, di colpo o lentamente, ci ha portati fino a quel punto. Parlarne o evidenziare quelle sensazioni vuol dire spesso rovinarle, così si finisce per scavare nel proprio intimo fino a mettere a punto delle verità inspiegabili, e che risultano valide soltanto per noi stessi. Fu esattamente quando entrai dentro al negozio di articoli da ufficio che immaginai succedesse tutto questo. La ragazza era ferma davanti ad uno scaffale e non c’era nessun altro all’interno dell’ampio locale. Tutto questo normalmente mi avrebbe quasi messo a disagio, ma siccome pensai in un lampo che per oppormi alla mia insicurezza non avrei assolutamente dovuto farmi vedere spavaldo, finsi una divertente ma certa timidezza. Lei volse il viso verso di me assumendo l’espressione di chi riconosce vagamente qualcuno, oppure più semplicemente finge di riconoscerlo in modo da farlo sentire a suo agio. Ci scambiammo un regolarissimo buonasera, e lei aggiunse soltanto, volgendo oltre al viso anche tutto il busto verso la mia direzione, se poteva essermi utile. Ero colpito dalla voce, dai modi, da tutto l’insieme dei suoi comportamenti, fin quasi a pensare di essere arrivato ad una svolta eclatante nella mia vita, e tanto era forte questo pensiero da indurmi a immaginare la stessa cosa per lei. Era sufficiente non forzare niente dei miei modi, cercare di essere colloquiale quanto basta, e al momento opportuno stringere con le frasi in modo da parlare anche solo velatamente di noi due, magari dei suoi gusti, della sua personalità, qualcosa che allargasse il ventaglio delle possibilità per arrivare a conoscerci. Normalmente in un negozio del genere, anche se in quello non c’ero mai stato prima di allora, avrei potuto comperare di tutto, visto che nel mio ufficio cercavo sempre di avere delle scorte di penne a sfera, lapis, gomme per cancellare, e così via. E proprio trovandomi fuori dalla mia zona mi ero incuriosito, ma senza avere in mente qualcosa di preciso da acquistare, solo così, per dare un’occhiata. Pensai di dire la verità, ma mi parve banale, così mi guardai attorno mentre allentavo il più possibile le pause delle mie parole che, impappinandosi, cercavano di spiegare alla paziente ragazza che esistevano, ne ero sicuro, certi raccoglitori per documenti che avevano un meccanismo incorporato, una specie di molla, che oltre a tenere fermi i fogli, producevano come una piegatura in loro che aiutava a sfogliarli una volta fissati. In realtà non esisteva niente del genere, era semplicemente un mio desiderio quando in ufficio prendevo un raccoglitore pieno di documenti e dovevo sfogliarlo. Credo che lei capì immediatamente quanto io fossi lì solo per perdere del tempo, ma per nessuna ragione cercò di cedere alla voglia di stampare sul suo bel viso un sorriso eloquente per accompagnare le semplici parole che definivano come in quel negozio non c’era niente del genere, lasciando in aria così l’evidente retropensiero conseguente che stava a stabilire che un articolo come avevo descritto non esisteva proprio, in qualsiasi negozio l’avessi cercato. Invece tentò, riuscendoci peraltro piuttosto facilmente, di battermi sul terreno dell’ordinaria gentilezza, illustrandomi con parole giuste e pesate il migliore tra i prodotti della categoria che a me interessava, ma che sfortunatamente non aveva le particolarità di cui provavo interesse. Si mosse abbastanza sveltamente da uno scaffale a quell’altro, per arrivare a mostrarmi ciò che secondo il suo neutrale parere era semplicemente un ottimo modello di raccoglitore. Avrei potuto insistere a scavare nella tecnologia della molla e del rimando, e della leva che riuniva i benedetti documenti dentro ad un qualsiasi raccoglitore, ma mi parve oltre che fuori luogo, ormai argomento esaurito e quindi da superare di un balzo, proprio a dimostrazione che importanti per me non erano affatto gli oggetti, bensì le persone. Dissi così, “non importa”, in modo però un po’ lezioso e levigato, quasi unto mi parve, cosa che sinceramente non avrei mai voluto, ma che nei miei pensieri sottolineava una leggera ironia a sostegno di quanto già detto e appurato. Riconobbi in un attimo che qualcosa aveva suonato non bene, e senza che potessi averne il controllo, rimase nell’aria una pausa, una semplice stupida pausa, quasi un leggero punto interrogativo che, con il senno del poi, avrei senz’ombra di dubbio dovuto interpretare e gestire: era quello il momento esatto in cui il passaggio tra un semplice rapporto di compravendita tra due individui economici poteva trasformarsi in un lampo in una meravigliosa iniziazione alla conoscenza tra due persone, ma io non lo colsi e tutto precipitò d’improvviso. Sarebbe ancora bastato sfiorarle una mano, dirle sbadatamente, “posso darle del tu?”; oppure, ancora più diretto, “mi chiamo Leonardo, e tu?”. Ma tutto questo mi parve troppo semplice e scontato, quasi volgare. Così sorvolai l’argomento e chiesi con semplicità malcelata il prezzo di certi evidenziatori esposti lì accanto e anche di alcune cartelline con le sponde, quasi a giustificare che tutto ciò che circondava il suo mondo a me interessava profondamente. Fu con infinita gentilezza che lei disse in un soffio, dando alle sue parole il significato esatto di chi ha da fare e che si è stufato di star dietro a qualcuno che di certo non comprerà niente, che su ogni articolo era stampato il suo prezzo, e che se volevo potevo tranquillamente dare un’occhiata a tutto ciò che volevo. Risposi grazie in un modo questa volta realmente imbarazzato, e quindi girellai per gli scaffali praticamente senza osservare più niente, guadagnando nel giro di pochi minuti l’uscita del negozio, lasciando nell’aria solo un lontano e impersonale saluto incolore. Solo sul marciapiede mi resi conto di essere idiota, e pur provando ancora l’imbarazzo appena provato, pensai di tornare sveltamente sui miei passi prima che fosse sopraggiunto qualche cliente. Immaginai di far suonare nuovamente il piccolo e delizioso campanellino collegato alla porta di entrata, e che lei volgesse verso di me un nuovo sguardo intenso anche se assolutamente neutrale. Mi sarei introdotto nel negozio con calma, quasi lentamente, con gli occhi bassi, quasi cercando con intensità dentro di me le parole giuste per un discorso difficile, di cui non sbagliarne neanche un dettaglio. “Ho bisogno di lei, signorina, anche se è difficile da credere. Per essere maggiormente precisi, ho bisogno della sua approvazione, di un sentire i suoi pensieri vicini ai miei, quasi un desiderio di reciproca univocità, di comunanza, di comprensione. Non so come meglio spiegarle, signorina, è come se io sentissi una tale attrazione verso di lei da rendermi impellente il desiderio di assaporare i suoi sentimenti migliori verso di me: la stima, l’ammirazione, forse la meraviglia d’accorgersi dell’esistenza di una persona come me, che non immaginava e non si aspettava di conoscere”. Credo che potrei fare di tutto per attrarla verso di me, con il bagaglio di tutto questo che immagino e desidero, come se, variando anche solo qualcosa nella mia rappresentazione, nulla riuscisse a stare al suo posto, crollando inesorabilmente verso il niente; niente, nessun risultato ottenuto e ottenibile sulle basi, le piccole, minute basi, di un accontentarsi, di un reputarsi soddisfatti di piccolezze, minutaglie, sciocchezze insulse senza fondamenta. Potrei fare di tutto, fino quasi a cercare di essere esattamente come lei vorrebbe io fossi, sostituendo con gioia ogni mio pur piccolo dettaglio indesiderato con ciò che meglio potesse rispondere alla sua volontà o ai suoi gusti. “Vorrei potesse indicare per ambedue, signorina, un percorso di avvicinamento ad una vera e propria simbiosi psicologica e spirituale per noi, un terreno unico all’interno del quale ritrovarci in modo esclusivo e perfetto. Vorrei tutto questo, si, e forse anche altro, esattamente ciò che in questo momento non riesco neppure a immaginare, proprio perché suscettibile di variazioni durante il percorso stesso, nel continuo cangiare dei parametri a cui riferirsi. Tutto questo, signorina, non è desiderio irrealistico, non è affatto un frutto di voglie impossibili; è semplicemente ciò che in questo momento fondante della mia vita appare impellente, insostituibile, necessario”. Sul marciapiede pensai ancora per un po’ che potevo tornare dentro e dirle tutto questo alla signorina dentro al negozio; ma poi, lentamente, quasi con indifferenza, di fatto me ne andai.

Bruno Magnolfi

La vertigine del casoultima modifica: 2010-01-05T17:35:02+01:00da magnonove
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