Il segno

Adriano faceva il camionista da trent’anni. Aveva visto gli autotreni su cui aveva imparato il mestiere sostituiti da altri autotreni più moderni, più potenti, più comodi, più facili da guidare, ma quel suo lavoro gli sembrava non fosse cambiato mai. Affrontava due viaggi alla settimana, uno a Parigi e uno a Barcellona, invariabilmente. Soltanto il sabato e la domenica, di solito, dormiva a casa sua. Di Barcellona e Parigi non aveva mai visto niente, solo le zone industriali sparse nelle periferie delle due città, dove andava a scaricare e a caricare. Il resto era autostrada, tutta uguale. Si era fermato all’area di servizio per mangiare, aveva seguito il percorso dentro al self-service facendo scivolare il vassoio lungo il nastro metallico, aveva scelto un piatto di pasta, della frutta, del dolce e un bicchiere di vino rosso; avrebbe poi preso un caffè al banco del bar, prima di ritornarsene in cabina di guida e affrontare un’intera notte di autostrada illuminata soltanto dai fari del suo camion. Al tavolo si era seduto da solo, come da solo era abituato a trascorrere tutte le ore del suo lavoro, ma proprio di fronte a lui, ad un tavolo vicino, c’era il ragazzo che aveva intravisto nell’area di servizio dove aveva riempito il serbatoio di carburante, qualche centinaio di chilometri indietro, che in solitudine e senza neppure un cartello con su scritta la sua destinazione, come era usuale, faceva l’autostop. Lo aveva ignorato, quando lo aveva visto, come era normale nel suo lavoro, ma era rimasto colpito dal suo viso un po’ triste, un po’ dolce, dalla sua espressione rassegnata, rassegnata come a qualcosa che non poteva evitare. Gli aveva fatto un cenno, e lui aveva ricambiato il suo saluto. Avrebbe voluto chiedergli dove era diretto, forse dargli una mano in quel suo viaggio, ma troppe distanze erano di mezzo tra loro. Quando riavviò il motore del camion, dopo il caffè, dopo quel filo di coraggio che occorreva, i fari e la strada lo riassorbirono con la concentrazione di sempre alla guida, e tutto fu lasciato alle spalle. Adriano non seppe mai spiegarsi perché, ma per anni ricordò quel ragazzo, quel suo viso dolce e un po’ triste, come di una persona importante nella sua vita, che senza avergli parlato, senza avergli spiegato niente di sé, ugualmente gli aveva lasciato un suo segno.

Bruno Magnolfi

Il segnoultima modifica: 2009-11-18T23:09:25+01:00da magnonove
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2 pensieri su “Il segno

  1. L’uomo è l’essere che non può uscire da se, che non conosce gli altri se non in se medesimo e che se dice il contrario mente.

  2. Per mestiere faccio il camionista, di gente nè incontro tanta, ma di loro mi rimane solo il ricordo di un attimo rubato, uno sguardo sfuggito, un discorso ascoltato o appena accennato.

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