Tavolo d’angolo

Non c’era un vero motivo per recarmi a pranzare quasi ogni giorno in quella stupida bettola. C’erano altri ristoranti in quella zona, e volendo mi sarebbe stato possibile cambiarne uno ogni volta che ne avevo la voglia. Ma quell’odore caratteristico di minestra che si spandeva dalla trattoria Nuti lungo il marciapiede fino quasi a raggiungere il primo angolo di strada, ecco, quella era una prerogativa unica di quel locale, ed anche se non risultava un vero e proprio richiamo, anzi a qualcuno dava persino fastidio, comunque portava con sé un senso di avvolgente e di vaporoso, quasi un aroma di casa. Cercavo sempre di andarci presto, le dodici e trenta al massimo, così trovavo la saletta libera e potevo scegliermi il tavolo dove sedermi. Anzi, siccome andavo a sistemarmi invariabilmente sempre allo stesso tavolo d’angolo, andavo presto a pranzo proprio per evitare che il mio tavolo fosse occupato da altri. Mi sedevo sistemando il soprabito all’attaccapanni lungo la parete, appoggiando il mio cappello sulla sedia libera del mio tavolo, poi con calma mi posizionavo in modo da appoggiare gli avambracci sull’orlo del tavolo di legno, indagando sulla carta delle vivande del giorno confrontato con il mio appetito e con le mie ispirazioni. Dalla mia posizione si vedeva la vetrina del ristorante con le sue tende chiare posizionate in modo da vedere le teste dei passanti che camminavano lungo il marciapiede, ed un campanellino non fastidioso trillava ogni volta che un cliente entrava dentro al locale. Una radio, posizionata in alto sopra a una mensola, restava perennemente accesa e sintonizzata su un programma nazionale, ma il suo volume risultava appena avvertibile, certe volte quasi un brusio di parole e di musica vivo e piacevole. Ovviamente qualcuno tra i frequentatori del ristorante mi conosceva di vista, ma i miei modi ed il mio atteggiamento non davano la possibilità a nessuno di andare al di là di un generico “buongiorno”. La cameriera poi, che in realtà era la proprietaria, la signora Maria, moglie del cuoco che assieme ad un aiutante sfornellava di là nella cucina, era una vera maschera integerrima di gesti e di espressioni identiche, con quel modo vagamente severo e autoritario non dato dal ruolo, ma solo dalla sua personalità. Non passavano neanche due minuti, una volta che ero seduto al mio tavolo, e lei arrivava con il suo taccuino e la matita già in mano, senza mirare nessuno, anzi con lo sguardo basso, avvicinandosi al mio tavolo velocemente, con modi quasi nervosi, per poi gettarmi con voce netta un “buongiorno, signore”, che era forse il massimo tra le sue espressioni di cortesia e di accoglienza. Mi piaceva quel suo modo identico: attorno alla sua espressione restava come escluso tutto ciò che di scontato e di superfluo si sarebbe potuto dire con risolini finti e leziosi. Quel “buongiorno” da me ricambiato denotava una cosa semplice ed essenziale che fungeva da fortissimo collante tra noi, e che mostrava ad ambedue quanto fosse fondamentale non cambiare niente di quei modi: io ero lì per il rito del pranzo, lei era lì per servirmelo, qualsiasi altro orpello a quel rapporto così sobrio era quasi di troppo. In fondo era esattamente ciò che cercavo come elemento aggiuntivo, rispetto ad un qualsiasi ristorante, da quella trattoria del Nuti: essere là dentro un cliente, e nient’altro. Generalmente mi facevo servire qualcosa di semplice evitando sughi e piatti più elaborati. Altre volte restavo attratto da pietanze che difficilmente si facevano vedere sopra la carta delle vivande. A dire la verità il menù del locale non riportava mai una scelta di piatti eccessiva, anzi, diciamo pure che tutto quanto era ridotto quasi all’essenziale, però c’era sempre una certa variazione a seconda dei giorni della settimana, e spesso il piatto del giorno risultava quello meglio cucinato. In fondo non mi interessava neanche troppo cosa mangiare. A dire la verità mi risultava quasi sufficiente quel senso di ristoro che mi procurava tutto l’insieme di quella piccola trattoria. Non sarei mai andato dal Nuti se mi fossi trovato in compagnia di qualcuno. C’era da rompere quell’armonia che ogni volta trovavo là dentro, non avrei mai rischiato. Attorno a me, mentre con calma mi portavo alla bocca in punta di forchetta piccole porzioni di maccheroni al burro con molto formaggio grattugiato, oppure di bollito con patate, o ancora di minestra di verdure, annotavo mentalmente le variazioni che a volte si verificavano sulla clientela di ogni giorno. C’era sempre qualcuno più chiassoso degli altri, che in qualche modo attirava l’attenzione su di sé, certe volte inconsapevolmente; in generale a quell’ora si trovava tutta gente tranquilla di mezz’età, spesso delle coppie di anziani signori con molto tempo libero. Non che mi infastidissero particolarmente coloro che parlavano a voce alta delucidando i propri argomenti e chiudendo le proprie frasi con qualche fragorosa risata, e nemmeno trovavo da ridire su coloro che polemizzavano sugli spaghetti troppo cotti o sulla carne certe volte rimasta decisamente un po’ al sangue. Anzi, qualche volta mi ritrovavo a seguire i discorsi di qualcuno come elemento di svago a quell’ordinario pasteggiare. In generale preferivo il silenzio o i rumori soffusi, sempre accompagnati dal brusio della radio, ma spesso mi intristivano questi sottofondi mostrandomi un senso di vuoto. Invece lo spaccone, quello che non finisce mai di parlare, che come tipologia di persona si ritrovava spesso là dentro, colui che riusciva a ragionare di sé anche quando l’argomento era il cibo, oppure che narrava qualsiasi altra cosa gli venisse alla mente, ma con voce un po’ troppo alta e guardandosi attorno per coinvolgere sempre qualcuno che per acquiescenza inviava un mezzo sorriso o un semplice affermativo cenno del capo, colui che riusciva a fornire a qualsiasi argomento la propria impronta pesante ed illustrare agli astanti il proprio pensiero frutto di un cervello non di semplificata fattura, ecco, quello era il tipo di compagnia che riusciva a farmi trascorrere bene il tempo del pranzo. Quel giorno era identico ad altri, ed il mio tavolo ben apparecchiato dal Nuti pareva aspettasse solo me. Avevo fatto un giro dai soliti clienti, tutti commercianti furbi e navigati, ed ero riuscito a raccogliere qualche ordine di materiali vari, senza concludere risultati eclatanti. Ero entrato nella trattoria alla solita ora, mi ero seduto al solito tavolo, aveva aspettato la signora Maria che mi salutasse come sempre ed avevo affondato il naso nella carta cercando qualcosa di appetitoso nella carta del giorno. Niente di speciale, come sempre; avevo ordinato carne ai ferri con delle patate, e del vino rosso. Poi, ad un tavolo libero, si erano venuti a sedere un uomo ed una donna che non avevo mai visto. Lei alta, leggermente vistosa, con un tailleur elegante forse troppo attillato; lui, molto più anziano, con un’espressione del viso rugosa e intelligente, che lei chiamava zio scherzosamente dandogli comunque del tu. Lei continuava a parlare con un timbro di voce in certi attimi leggermente squillante, ma il suo tono era vario, in una maniera decisamente superiore al consueto: pensai addirittura potesse trattarsi di una cantante di opera lirica, magari dilettante, tanto riusciva all’interno di una medesima frase, a passare da un pianissimo sussurrato all’orecchio, fino a un insorgere di squilli di tromba con le parole finali di qualche sua espressione, chiudendo poi con una breve e coinvolgente risata. Naturalmente, dalla posizione dov’ero, mi risultavano incomprensibili diverse parole, anche se l’argomento pareva fosse legato a persone che ambedue conoscevano e delle quali sembrava riportassero aneddoti divertenti e curiosi. L’uomo trascorreva molto tempo in silenzio, ascoltando sornione i discorsi della donna seduta al suo fianco, sorridendo e annuendo. Mi incuriosiva quella donna, immaginavo per lei qualità fuori dall’ordinario, o per meglio dire, ciò che io non ero mai stato, la capacità di essere estrosa ma allo stesso tempo profonda, anche inquietante, forse invadente, socializzare con tutti pur conservando una sua buona dose di intimità: insomma una persona intelligente e sensibile, accompagnata dal gusto di mettersi in vista senza problemi. Chiese del bagno, prima del pranzo, e la signora Maria con misuratissimo gesto le indicò il luogo e il percorso. Lei allora si alzò dalla sedia, prese con sé l’immancabile borsetta, raccomandò ancora due o tre cose al suo compagno di tavolo con un sorriso piacevole, infine si mosse per passarmi vicino. Mi guardò, come incuriosita, non so, dal mio viso, da qualcosa del mio modo di stare seduto al mio tavolo, e rallentando il suo moto disse infine: “buongiorno”, proprio a me, e con un ulteriore sorriso, senza ombra di dubbio. “Ci conosciamo,vero?” aggiunse prima ancora che io fossi riuscito a riprendermi. E poi, “… non è lei il signor Vattelapesca?”. Ed io: “…non lo sono, signora, però le giuro che in questo momento mi piacerebbe tanto essere la persona che ha detto…”. Naturalmente lei scoppiò in una risata spontanea, flautando uno “scusi” più divertito che altro, passando oltre al mio tavolo. Dopo cinque minuti, però, tornando dal bagno, non senza aver intercettato la signora Maria per dirle qualcosa, mi passò nuovamente vicino, giusto per dirmi: “Scusi di nuovo, ma cosa si mangia di buono in questo locale?”; e lo disse in maniera talmente simpatica e in una maniera così naturale che io non riuscii a dire niente, se non: “…il piatto del giorno…”. Ma poi mi riscossi, e alzandomi pacato dalla mia sedia, dissi: “…non mi sono neppure presentato”, riparando in un attimo. Così seppi che lei si chiamava Giovanna, e che non era cantante, bensì una scenografa, e che stava allestendo uno spettacolo importante nel teatro vicino. Naturalmente non accettò di sedersi al mio tavolo, declinando il mio invito con un semplice cenno, però mi inviò, allontanandosi, un piccolo saluto con la sua mano aperta, semplicemente dicendo: “…forse tornerò anche domani; se il piatto del giorno di oggi sarà di mio gusto, magari pranzerò assieme a lei…”.

Bruno Magnolfi

Tavolo d’angoloultima modifica: 2009-11-11T23:02:51+01:00da magnonove
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Un pensiero su “Tavolo d’angolo

  1. Si sente il profumo di minestra e i rumori di sottofondo,e i personaggi quasi si toccano. Sono stata trasportata, in un attimo tra quei tavolini e ho immaginato tutto.Meravigliosa narrazione.

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