L’uomo a fumetti (per Claudio Lolli)

Il disegnatore di fumetti generalmente partiva da un personaggio per poi costruirci attorno una storia. Era sufficiente che ne disegnasse il viso, i capelli, i vestiti, le mani, il resto veniva quasi da sé. Tutto dipendeva da pochi dettagli: stilizzava un’espressione, un gesto, la posizione, e poi tutto cominciava a ruotare, a prendere forma, come se il suo personaggio uscisse all’improvviso dal foglio di carta e si disegnasse da solo. Certe volte le storie che venivano fuori sembravano lo specchio di quello che lui aveva pensato quel giorno, o che gli era ritornato alla mente da un periodo passato per chissà quale ragione; ma in certi rari casi nessuna relazione, a striscia finita, pareva sussistere tra sé e quel suo nuovo fumetto. Ed erano questi i personaggi a cui lui si affezionava di più. I suoi fogli, disegnati e finiti, in quelle occasioni pareva prendessero vita, come se avessero voglia di parlare di se stessi, come se avessero dentro uno spirito, e lui certe volte cercava di dar seguito a questa esigenza, ma in tanti casi la stanchezza diventava fortissima, e lui si sentiva stremato, perdeva quella concentrazione di cui aveva bisogno, e tutto fermava il suo corso. Ma quella sera qualcosa era diverso. Aveva ritrovato nella confusione del suo tavolo da lavoro, una striscia che non aveva finito, e si era messo a pensare come poteva continuare la storia. Una ragazza, sopra al suo motorino, libera, lungo le strade della città. Non sapeva di molto, ma era un inizio. L’aria fresca della sera sul viso, immagini di gente sui marciapiedi, negozi scintillanti delle loro vetrine: andare incontro a qualcosa come sfuggendo a qualcos’altro che sa di saputo, voglia di nuovo, di diverso da quell’ordinario, e poi i colori, la velocità, tutto alle spalle, in una ricerca spasmodica di qualcosa che sta un po’ più avanti. Una ragazza come tutte le altre, come tutte quelle ragazze che hanno quindici, sedici anni, ma con qualcosa dentro al suo casco che non è proprio da tutti: la voglia improvvisa di sentirsi diversa, migliore, non incastrata dentro ad un ruolo egoistico, non un pensiero solo per sé, ma per tutti, come compiere un gesto che lascia gli altri di stucco, che li fa ragionare, li porti a pensare che non c’è storia per chi pensa soltanto a se stesso. Le strade, le piazze, continuano a correre inseguendo il suo motorino, quello della ragazza, e il disegnatore di fumetti cerca disperato di dar vita al suo bisogno di esistere, di essere al di fuori di sé, di un disegno finito, completato, esauriente, ma che manca ancora di spirito. Poi, l’idea finale per il suo fumetto si fa strada poco alla volta, dentro a un pensiero che diverge dal resto: la ragazza corre da lui, dal disegnatore strampalato di quei fumetti, a portargli lei stessa il finale di tutta la striscia, e lui è ancora giovane, dentro al disegno, ha la sua stessa età, può aspettarla uscire da dentro la carta, da quelle strade grigie che adesso sanno di lei, della sua libertà, e vogliono assomigliare a quel suo meraviglioso entusiasmo. Perché è di questo che la città adesso ha bisogno, della voglia di amore e di gioia che superi il grigio della gente sui marciapiedi, e dei negozi che continuano imperterriti ad ammaliarla, con le loro vetrine scintillanti e monotone che non hanno niente di nuovo, e in questo slancio oltre le cose, tutti possono di nuovo ritrovare le idee, i sentimenti più forti, l’energia, quella creatività che era venuta a mancare da tempo.

Bruno Magnolfi

L’uomo a fumetti (per Claudio Lolli)ultima modifica: 2009-10-19T22:16:00+02:00da magnonove
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3 pensieri su “L’uomo a fumetti (per Claudio Lolli)

  1. Decisamente, il detto: noi siamo quello che facciamo, è confermato in questo racconto, Il disegnatore di fumetti finisce per vivere la vita di un suo fumetto..perchè? Be perchè i sogni ci aiutano a vivere meglio.

  2. Non credo tu abbia capito molto ” caro il mio trikke e ballakke”, credo che questo racconto ci ricordi, di tornare a credere nella nostre vite, quelle vere, quelle che vogliamo veramente, lasciandoci alle spalle le nostre esistenze passive, e grige, le nostre non scelte, infondo a volte basta così poco.

  3. Non credo tu abbia capito molto ” caro il mio trikke e ballakke”, credo che questo racconto ci ricordi, di tornare a credere nella nostre vite, quelle vere, quelle che vogliamo veramente, lasciandoci alle spalle le nostre esistenze passive, e grige, le nostre non scelte, infondo a volte basta così poco.

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