Pensare le cose

La ragazza aveva guardato avanti a sé, ma non aveva visto niente, solo i fari delle auto e degli autotreni che parevano giocare a rincorrersi, laggiù, lungo la striscia di luce dell’autostrada, in mezzo ai terreni periferici e fangosi della città. Qualcuno l’aveva chiamata, con una voce lontana, ma lei non aveva risposto. Non le andava per nulla di vedere qualcuno delle persone che conosceva. Restava appoggiata ad un palo qualsiasi, lungo una piccola strada poco frequentata, a pensare alle cose, al passato, ai ragazzi che da sempre le avevano dato noia in quel loro campo nomadi, fin da quando non era stata più una bambina. Non c’era niente di male, tutti nascevano uomini o donne, e alla sua età si doveva già scegliere con chi fare dei figli. Quella sera era andata fin lì perché voleva guardare le stelle, ma non si vedeva un bel niente, con quella luce rosata che arrivava fin lì dai lampioni della città; e poi voleva stare da sola, anche se i suoi le avevano detto che non c’erano più soldi, e quello era un problema, qualcosa si doveva mangiare, i ragazzi dei servizi sociali non sarebbero tornati prima di due settimane. Qualche volta, ultimamente, si era guardata allo specchio, uno piccolo, di quelli che ti fanno vedere soltanto un pezzo per volta, e non si era accettata. I capelli neri, legati dietro alla nuca, non le piacevano più. E poi quelle gonne, fino ai piedi, colorate e ingombranti, le parevano assurde. Però niente si poteva cambiare, suo padre non avrebbe mai accettato una cosa diversa dalla loro tradizione di zingari. Così non le restava che stare da sola, quando poteva, e fantasticare attorno a qualcosa che aveva visto dentro a una macchina, addosso a qualche altra ragazza, dentro alle finestre delle case coi muri. Niente le mancava della vita degli altri, lei si sentiva più libera di tutti coloro che incontrava ogni giorno, e questo era ciò che di meglio potesse aspettarsi dal suo presente, di questo era sicura; però si sentiva invidiosa della fantasia che avevano alcuni, del loro sbizzarrirsi cambiando vestiti, pettinando i capelli in modo diverso, ridendo certe volte in un modo che a lei non riusciva: non si era mai divertita così, come loro, come sembrava facessero tutti i ragazzi della città. Non lo sapeva perché, però certe volte le veniva da chiederselo. Se guardava bene, su in alto, qualche stella più grande la riusciva a vedere, ma tutte quelle luci di periferia offuscavano il cielo, lo rendevano insulso, privo di qualsiasi poesia, e lei continuava a star lì come aspettando che qualcuno spegnesse d’improvviso tutte quelle lampade elettriche e la lasciasse finalmente vedere il cielo stellato com’era, profondo, insondabile, al di sopra di tutto, di tutte quelle miserie che lei doveva affrontare ogni giorno. Chissà come mai sarebbe stato il futuro, con quelle sue idee che non confidava neanche a se stessa, e poi forse sarebbero andati via, lei con tutti quelli del campo, si sarebbero trasferiti in un’altra città, probabilmente in un altro paese. Forse le sue idee sarebbero andate via come tutto quel campo, assieme alla sua adolescenza che si era già lasciata alle spalle, assieme alle stelle, che probabilmente non l’avrebbero neanche più attratta tanto come in quella serata che neppure riusciva a lasciarle vedere, ma adesso non c’era da preoccuparsi di questo. Poi, qualcuno con la macchina, si avvicinò lentamente, si fermò accanto a lei, abbassò il finestrino e disse qualcosa. Lei non capì, però sottovoce rispose soltanto: “va bene”, e salì sopra la macchina. Che importava il futuro, non si vedevano neppure le stelle, la sua vita era fatta in quel modo, per quella sera andava bene così, forse domani avrebbe avuto più tempo per ripensare le cose.

Bruno Magnolfi

Pensare le coseultima modifica: 2009-09-29T21:58:00+02:00da magnonove
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