Proprio spettacolo.

Non mi sento a posto, dico alla mia assistente con voce bassa e sofferta mentre siamo finalmente da sole nel camerino. Non sto troppo bene, tutto qui, anche se non capisco assolutamente cosa sia che non vada esattamente come dovrebbe. Mi guardo dentro lo specchio, ritorno a pulirmi un’occhiaia con del cotone imbevuto nel latte detergente, come se asciugassi la lacrima di un pianto che certamente non ho fatto. Lei intanto mi pettina con le mani i capelli, in silenzio, quasi per rassicurarmi, poi dice in un soffio che mancano ancora venti minuti prima di salire sul palco, e che c’è tutto il tempo che serve per riprendere appieno l’energia che ci vorrà, senza alcun dubbio.

Qualcuno bussa alla porta, dei fiori, il direttore dice che siamo al completo, mette appena la testa dentro al pertugio, sorride, infine spiega a se stesso che tutto andrà bene, perfettamente, poi se ne va: le donne, pensa, sono strani animali; difficile comprenderle appieno. Ho voglia realmente di piangere, ma non per paura o per qualche difficoltà nel mostrarmi anche stasera al mio pubblico. Piuttosto, non mi sento a mio agio, qualcosa di me sta da qualche altra parte, è come se dovessi affrontare qualcosa mentre tutto non fa altro che spingermi altrove.

Mi giro, ma soltanto per non dover guardare ancora la mia stupida espressione riflessa diventata ormai insopportabile: sorrido a denti stretti, poi dico che ho semplicemente bisogno di un buon caffè bello forte, anche se è soltanto uno stratagemma per rimanere qualche minuto da sola. La mia assistente capisce al volo la situazione, cosi chiama qualcuno al telefono, e mentre evita di guardarmi chiede sottovoce nella cornetta che mi si porti rapidamente quanto io chiedo. Va bene, le dico: non ricordo più niente di quello che dovrò fare, mi sento stralunata, credo proprio che stasera non riuscirò ad essere quella di sempre. Invece sarà perfettamente all’altezza della sua fama, dice lei immediatamente, anche se senza alcuna convinzione; ed anche se toccasse proprio a me cercare di convincerla di questa semplice verità, lei riuscirebbe alla fine, ed in qualsiasi caso, a fare come sempre la cosa migliore possibile, ed a farla senz’altro di testa propria.

Resto praticamente ferma, colpita da questa frase; arriva il caffè, lo lascio freddare sul tavolino mentre continuo a riflettere. Mai improvvisare nel mio lavoro, questa la regola principale, tutto è soltanto studio e applicazione, immedesimarsi, sentirsi qualcun altro, ripetere alla nausea la parte, ed io forse mi sento semplicemente stufa di tutto questo. Ripasso mentalmente qualcosa, quasi per abitudine, o giusto per tentare di riprendere in mano questa situazione che rischia di degenerare, ma infine mi alzo, prendo un sorso disgustoso del mio caffè, guardo col consueto terrore la porta che mi sta davanti. L’assistente sistema il vestito, io vado avanti di un passo, come un automa. Apro, sulla destra ci sono i gradini che portano verso le quinte, dalla parte opposta le uscite di sicurezza. Chiudo l’uscio alle mie spalle, per un attimo sono sola nel corridoio, potrei azzardare una pazzia, dare prova di me, della mia personalità, dei miei dubbi, rovesciando ogni cosa sul triste spettacolo della mia disfatta, ma non mi sento all’altezza neppure di un gesto del genere.

Arriva la mia assistente, giusto con quell’attimo di ritardo calcolato che riesce a concedere, poi mi tocca su un braccio, ha capito perfettamente il mio dramma, forse lei potrebbe stare addirittura dalla mia parte, penso, così mi volto, e la guardo, perciò lei mi sistema con calma una ciocca di capelli sopra la fronte: è il segnale, devo ormai andare avanti, non è questo il momento dei ripensamenti, così sorrido, mi muovo come sempre, metto un piede sul primo gradino; e poi vado.

Bruno Magnolfi

Proprio spettacolo.ultima modifica: 2016-05-25T20:56:59+02:00da magnonove
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