Fine della guerra.

Sembrano proprio giungere dal viale che costeggia la stazione ferroviaria, i colpi di arma da fuoco che in un attimo ammutoliscano chiunque si trovi nelle vicinanze. Lui spalanca gli occhi, si guarda attorno per un attimo, poi si getta a terra e resta giù, a testa bassa, riparato alla meglio dal muretto di cinta lì accanto. Bisogna andarsene da qui, pensa, mentre altri colpi più radi vengono esplosi: ma non c’è neppure un vero posto dove rifugiarsi, e poi neanche si capisce effettivamente chi stia sparando, contro che cosa, per quali scopi. Non si muove, resta fermo dove si trova, nell’angolo fetente di urina vecchia, pieno di sporco e di immondizia, e intanto riflette.

Poi c’è una tregua, si sente della calma nell’aria, qualcuno poco lontano parla a voce alta, sembra addirittura non provare alcuna tensione mentre dice parole di fuoco. Lui si alza in piedi, il minimo che serve, guarda rapidamente in tutte le direzioni, cercando di comprendere quale sia l’elemento essenziale dal quale difendersi, ma senza riconoscere alcuno spiraglio di aiuto nella realtà che riesce a sbirciare. Arriva un tizio di corsa, si mette giù insieme a lui, dice che c’è ben poco da fare, dovranno aspettare almeno la notte prima di poter abbandonare la loro postazione. Lui annuisce, poi sente parlare l’altro in una lingua straniera con qualcuno poco distante, così rimane in silenzio, non sa proprio cosa ci sia di meglio da fare.

Si vede passare a grande velocità una camionetta militare lungo il viale, ma una raffica di mitra la raggiunge, una gomma scoppia, si sente fragore di macchine incidentate, poi di nuovo il silenzio e una piccola nuvola di fumo che si alza. Pare sia iniziata la guerra, dice lui tra sé ma ad alta voce. No, dice l’altro rimasto vicino: forse c’è stato soltanto l’assalto ad una banca del centro, magari, oppure è stato fatto un attentato ad un sito sensibile. Va bene, fa lui, ma adesso cosa facciamo? Niente, dice l’altro, è meglio non prendere alcuna iniziativa. Passano i minuti, qualcuno riprende a parlare con voce alta, non molto lontano, come fosse la voce fuori campo di un film. La situazione di stallo creata pare addirittura comica: lui immagina decine di persone nascoste là attorno, qualcuna magari ben vestita, con mille affari improrogabili da sbrigare; ed altri sfaccendati invece pronti a dormicchiare in qualche cantuccio, senza grandi preoccupazioni.

Lui riflette, ma i suoi pensieri non lo portano ad architettare alcuna iniziativa, così chiude gli occhi per un attimo, raccoglie le forze e si concentra. Subito dopo si alza in piedi, di scatto, e poi inizia a correre, senza neppure sapere perché né verso dove. Non passa molto, giusto due o tre secondi per prendere lo slancio, poi nella sua corsa disperata si getta lungo il viale, quasi per una sfida a se stesso o verso gli altri, come per mostrare che è ancora possibile infischiarsene di tutto, è ancora possibile sentirsi liberi di affrontare a viso aperto una realtà ostile, che ci vuole continuamente in fuga, oppure sempre al riparo, praticamente privi di qualsiasi barlume di coraggio. Corre in mezzo all’asfalto, lui, ma proprio in quel momento qualcuno inizia a sparare, e si avvertono distintamente i colpi di fucile, sembra quasi di vedere i cecchini appostati che prendono la mira, lo inquadrano, mentre contemporaneamente qualcun altro là vicino inizia a imprecare, gli intima a voce alta di fermarsi, perfino di alzare le mani in segno di resa.

Quando cade è proprio nel mezzo, lo vedono tutti, e tutti trattengono il fiato: forse è stato colpito, forse è soltanto inciampato. Sfuma nell’aria un attimo di sospensione, in molti probabilmente non riescono ancora a respirare, e scrutano in terra per riuscire a vedere un rivolo di sangue che mostri la sua fine. Ma lui invece si rialza, zoppica, si guarda attorno, raggiunge il largo marciapiede di fronte, poi il colonnato, fino a raggiungere l’angolo; e poi se ne va.

Bruno Magnolfi

Fine della guerra.ultima modifica: 2015-04-22T20:48:54+02:00da magnonove
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