Esperienze ordinarie.

Entro nel piccolo ufficio, dopo aver atteso quasi un’ora con il foglietto numerato, mi siedo su una delle due seggiole, e con disinvoltura accavallo le gambe mentre mi assicuro, quasi per abitudine, che la mia gonna non mostri troppo. L’impiegato di fronte neppure mi guarda, prosegue a scartabellare qualcosa, anche se dopo un attimo dice buongiorno, saluto al quale naturalmente contraccambio subito risposta. Attendo. Che deve fare, mi fa, dopo un’altra porzione di tempo e ancora senza guardarmi. Protocollare, gli dico posando sopra la scrivania i miei due o tre fogli spillati. Non è questo l’ufficio giusto, mi fa. Poi alza il telefono, parla con il portiere, dice qualcosa nervosamente. Quando abbassa chiedo con gentilezza allarmata maggiori informazioni.

Dice l’impiegato che, certo, per il mio caso lui può fare eccezione, quasi poi fosse un grande favore, quindi allunga una mano e prende i miei fogli. Senza neppure guardarli ci ripensa e subito si alza; dice: scusi un momento, quindi nervosamente esce con rapidità dalla stanza. Da sola, avrei quasi voglia di mettere all’aria e confondere tutti i suoi fogli ammucchiati sul piano del tavolo, però  mi controllo. Attendo. Quando l’impiegato rientra mi alzo a mia volta, quasi per fargli vedere che in fondo posso fare anche a meno di lui e delle sue sgarbate maniere. Lui invece si siede quasi senza fare caso a tutto il resto, ed inizia col dire che è un tipo preciso, che non gli piacciono le cose fatte in maniera approssimativa, e altre frasi del genere. Dico che ha ragione cercando velatamente di dare una veste ironica a quanto a me sta avvenendo, ma lui tira diritto con convinzione e riprende in mano i miei fogli.

Mi chiede, senza muovere gli occhi da sopra lo schermo che in parte gli copre la faccia, se sia proprio io la persona che sottoscrive quei documenti. Rispondo di si senza aggiungere altro, e forse vorrei mettermi a sbuffare, tanto mi sta pesando la situazione. L’impiegato scrive qualcosa ticchettando sulla tastiera, infine una stampante alle sue spalle si mette in funzione per sfornare un semplice foglio. Lo prende, lo guarda, lo timbra, avvalora la carta con un umile frego.

Ci vuole la marca, mi fa. Non ce l’ho, dico io. Poteva dirlo subito, che lo voleva su carta semplice, dice lui. Mi si arrossano le guance, lui strappa il primo foglio e scrive qualcos’altro con la sua tastiera. Dalla stampante ne viene fuori una carta identica alla prima, e anche questa lui la timbra e ci fa sopra un semplice rigo con la sua penna. Devo pagare? gli dico conservando buone maniere. Certo, fa lui, e mi dice subito quanto. Lascio una pausa. Non ho i soldi, gli dico. L’impiegato adesso mi guarda allibito: sono soltanto pochi spiccioli, sta sicuramente pensando; com’è possibile andare per uffici senza nemmeno lo stretto necessario?

Aspetto accada qualcosa, lui si alza, esce dall’ufficio; poco dopo rientra: prenda questo foglio, mi dice; arrivederci. Intanto ho trovato nella mia borsetta i soldi che mi aveva chiesto, gli dico con noncuranza, e con un semplice gesto faccio tintinnare delle monete sopra al piano del tavolo, mentre raccolgo con calma tutti i miei fogli. Attendo. Lui forse con gli occhi vorrebbe incenerirmi, io mi alzo, dico arrivederci, sistemo la gonna prima di uscire proprio come se stessi abbandonando una toilette pubblica. Infine guadagno il corridoio, ma subito torno indietro e mi riaffaccio un momento alla stanza: grazie, dico; è stato molto gentile.

Bruno Magnolfi

Esperienze ordinarie.ultima modifica: 2014-10-22T20:56:30+02:00da magnonove
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