Identiche giornate.

Scivolavo in avanti, lungo i marciapiedi, tra le persone come me, tutte incapaci di comprendere appieno quanto stessero facendo. Mi fermavo in un caffè, certe volte, e cercavo nel cameriere una faccia amica da riconoscere e salutare, anche se mi rendevo conto di quanto io fossi soltanto uno tra tutti. Mi incaponivo negli uffici pubblici, cercando di far rispettare i miei diritti, ma spesso dovevo riconoscere che le cose non sarebbero mai potute andare in altra maniera. Eppure sfogarmi era una grande soddisfazione che mi toglievo, così avevo preso a fermare qualcuno per strada e dirgli tutto filato cosa pensassi, quali erano le cose per me insopportabili, quelle senz’altro da modificare, e via dicendo.

Un giorno trovo un tizio dentro un corridoio e gli dico subito che sono stufo di andare in giro a cercare di tenere in equilibrio tutti quei particolari che compongono la mia giornata. Quello mi guarda, dice qualcosa a bassa voce, come tra sé, poi torna a guardarmi e sbotta che non ha tempo per cose del genere, e che secondo lui ognuno deve risolvere da sé i propri problemi. Poi sfugge d’improvviso, come se il suo tempo a mia disposizione fosse già terminato. Lo seguo senza perdermi d’animo lungo le scale e nell’ingresso, e alla fine usciamo all’aperto, in mezzo alla gente che affolla questo quartiere: per un attimo, a giudicare dalla sua sicurezza di sé, mi sembra che quest’uomo possa spiegarmi molto di ciò che non so o che non ho ancora capito, per questo cerco di rimanergli vicino. Lo fermo ad un tratto in maniera forse sgarbata, gli spiego con calma che se non ci aiutiamo tra noi siamo destinati senz’altro a soccombere, ma lui sembra non sentirmi neppure, prosegue a camminare deciso e imperterrito e a spiegare nell’aria che devo soltanto arrangiarmi, non è lui quello che potrà mai spiegarmi certi  comportamenti o modificare qualcosa della mia situazione.

Insisto, percorriamo assieme un lungo tratto di strada mentre prosegue la nostra discussione, poi finalmente entriamo nel solito caffè dove vado sempre. Lui saluta qualcuno e si disinteressa subito di me, così io mi siedo in un angolo e aspetto che abbia finito con le sue relazioni sociali. Alla fine lui contratta col cameriere una consumazione che paga a mio beneficio, e poi se ne va, lasciandomi lì senza aggiungere neppure un’altra parola. Sono perplesso: non capisco dove possa stare il mio errore di fondo. Mi trattengo ancora dentro al locale colmo di pensieri inconcludenti, e quando torno in strada ormai è quasi sera, non ho più voglia di niente, così rientro a casa e mi sprofondo come sempre nelle vecchie abitudini, tentando di dimenticarmi del resto. Credo non ci sia alcun senso nel continuare così, penso, barcollando tra dubbi e faccende di cui dovermi occupare senza aver scelto né queste né quelli. Mi preoccuperò maggiormente di me stesso, da ora in avanti, proprio come mi dicono tutti; fingerò di essere addirittura migliore proprio per questo motivo, e domani tornerò a cercare qualcuno, qualcuno che mi spieghi meglio le cose da fare, o che mi dica magari che non c’è alcuna speranza; qualcuno pronto a sostenere qualcosa che valga la pena, o che mi convinca una volta per tutte che devo smetterla di essere ancora ottimista.

Bruno Magnolfi

Identiche giornate.ultima modifica: 2014-02-25T20:39:25+01:00da magnonove
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