Dialogo n. 4. Corrispondenze.

            

 

            Dimmi la verità, fa lei. Lui sfoglia un quotidiano: non avrebbe alcun senso, dice; quello che hai già deciso frettolosamente di pensare del mio comportamento non cambierebbe comunque di una virgola, risponde l’uomo senza guardarla. Lei esce dalla stanza: pensa che probabilmente potrebbe perfino piangere, tanto si sente umiliata, anche se non sa bene neanche da che cosa; però non vuole in nessun modo farsi vedere così debole, perciò si chiude in bagno, anche se per pochi momenti, mentre l’uomo appoggia il giornale e accende la televisione.

            Poi la donna torna nella stanza: tanto ho capito perfettamente, fa lei; non ha neppure importanza che ne parliamo ancora. Una luce di tramonto entra obliquamente dalle finestre; aggiornamenti dell’ultima ora, sia di cronaca che di politica nazionale, rimbalzano dal televisore col volume al minimo. Sono convinta che soltanto tra pochi giorni vedremo tutto questo in un modo completamente differente, fa lei. Non c’è quasi più niente da dirsi, pensa lui; ormai siamo giunti alla farsa: dire le cose maggiormente evidenti per coprire le verità più nascoste e antipatiche. Lei si muove, gira alcuni canali della televisione: nell’ultimo che appare qualcuno sta cantando con apparente trasporto dentro ad un microfono che tiene in mano con sapienza: un pubblico finto sorride, pronto ad applaudire al termine sfumato di una famosa canzone.

            Lei lascia sul tavolo il telecomando, si accende una sigaretta, osserva qualcosa di sfuggita sul display del suo cellulare. Vorrei soltanto sapere cosa ti ho fatto di male, fa lei senza spostare lo sguardo. Lui si alza, prende con la mano il telecomando, sceglie un canale dove casualmente stanno passando la pubblicità di un’auto elegante. Sei tu che hai messo in piedi tutta questa storia dell’incomprensione, dice; per me sta tutto a posto, o almeno, abbastanza.

            Lei osserva la pubblicità, appoggia il suo telefono sul tavolo, si mette comoda sopra il divano, aspira una boccata di fumo. Allora cosa decidiamo di fare questo fine settimana, fa, con voce monotona e decisa, come chi ritiene già di conoscere perfettamente la risposta. Lui gira ancora canale, ed un capo di stato sembra stia presenziando un drappello di soldati in alta uniforme, mentre giungono le note più stridule di un inno sconosciuto.

            Ho voglia di filare via da qui, fa lui; si potrebbe fare una corsa fino al mare, cosa ne dici? Lei non risponde, forse avrebbe soltanto voglia di girare quel canale, trovare una sintonia che le interessi, ma a quell’ora sembra che i programmi siano tutti uguali, monotoni, risaputi, quasi le stesse cose di sempre. Fuori dalla finestra qualcuno lungo la strada urla un nome a squarciagola: lei ride, in fondo senza neppure averne motivo. Si, fa alla fine, portami al mare; dimentichiamoci di tutto, mettiamo a punto un nuovo equilibrio…

            Lui torna a premere i pulsanti del telecomando, e appaiono le immagini di un vecchio film, una pellicola addirittura in bianco e nero. Lui preme power e il monitor si spegne. Quello che mi dispiace di più, fa lei premendo la sua sigaretta nel posacenere di vetro, è che alla fine sappiamo bene come ritrovarci, eppure dobbiamo continuamente compiere dei giri assurdi per arrivare fino a quel punto. Lui annuisce, cerca dentro la sua mente un luogo di mare che meriti la loro piccola gita, ma non gli viene a mente nulla. Potremmo anche rimanere qui, dice senza crederci; girare in ciabatte per casa tutto il giorno, parlare di noi, leggere qualche libro, scoprire quanto sia rilassante non far niente, evitare di preoccuparsi di qualsiasi cosa. Va bene, fa lei: tanto riesci sempre a convincermi di tutto quello che ti gira per la testa.

 

            Bruno Magnolfi

Dialogo n. 4. Corrispondenze.ultima modifica: 2012-10-11T21:25:49+02:00da magnonove
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