Qualcosa per cui vivere

Spesso capita che il mio collega di lavoro venga da me durante l’orario di turno della nostra fabbrica, e mi dica Luigi, oggi non è proprio la giornata giusta per star qui a far gli operai ed annoiarci con queste stupidaggini ripetitive. Dice così per ridere, ma poi, durante la pausa per il pranzo, quando siamo seduti nella sala mensa con il nostro vassoio, lui guarda il sole e il cielo fuori dalle finestre, e sembra che sia assente, che non stia davvero insieme a noi.

Certe volte fa discorsi strani, il mio collega, dice che non siamo nati per star dentro a una fabbrica tutto il santo giorno ad assemblare pezzi di una macchina che non sappiamo bene neppure a cosa serva. Io gli ripeto che così dicendo non saremo mai soddisfatti di noi, del nostro lavoro, della nostra vita, e che se ci è toccato in sorte di far questo, bisogna in qualche modo adattarci e non pensare più a certi discorsi. Ma lui ci riflette un po’, guarda nel niente, poi dice, Luigi, dobbiamo andarcene da qui, guarda qua come siamo ridotti, tra un po’ non avremo più neppure i sogni, guarderemo la televisione come fanno già molti altri, e vedremo là dentro lo schermo la gente che sta bene e si diverte tutto il giorno, e ci sembrerà solo immedesimandoci in quelle persone di poter scambiare il nostro ruolo con il loro, e di riuscire a star bene e divertirci tutto il giorno anche noi; ma non è così, io e te lo sappiamo, è solo un digestivo per ingollare in silenzio la nostra vita stupida. Io lo lascio dire, quello è il suo modo di riflettere le cose, non mi preoccupo più di tanto: gli sorrido, cerco di seguire i suoi ragionamenti, poi mi fermo.

La settimana scorsa invece vado in fabbrica, inizio il turno e lui non c’è. Chiedo a qualcuno degli altri operai se hanno visto il mio collega, ma nessuno l’ha incontrato. Passa con un po’ di tensione tutta la mattina, poi all’ora di pausa gli telefono: l’apparecchio suona a vuoto, nessuno mi risponde. Quando esco dal turno timbro il cartellino e vado direttamente a casa sua, passo a vedere cosa sia successo, ma trovo solo un biglietto sulla porta del suo appartamento deserto al terzo piano. C’è scritto “per Luigi”, così lo stacco e lo apro. Dice di andare al “solito posto”, e lì mi darà delle istruzioni per spiegarmi meglio. Ci penso, tengo in mano il foglio, vado a casa mia. Tutta la notte rifletto su quale sarà quel “solito posto”, poi mi viene a mente il tavolo d’angolo del bar fuori dalla fabbrica, dove certe volte stiamo lì a bere una birra e a sognare di trovarci da tutt’altra parte.

Il giorno dopo sono lì, mi siedo al tavolo, mi guardo attorno, non c’è niente. Poi passo la mano sotto al piano di legno di quel tavolo e sento che c’è un altro foglio incastrato dentro a una fessura. Lo prendo, lo apro, lo leggo, è un messaggio lungo. Dice: “Luigi, ho sistemato tutto, ti aspetto per partire insieme, devi prendere il treno delle cinque, scendere alla stazione di cui ti avevo parlato qualche volta, sarò lì ad aspettarti, vieni da solo”. Non ci vado al lavoro il giorno dopo, avverto la segretaria e poi cerco di pensare cosa fare. Alla fine metto il cappello e gli occhiali scuri, prendo il treno delle quattro e scendo alla stazione che conosco, quella di cui mi ha parlato il mio collega, ci vuole poco ad arrivare, mi metto dietro a una colonna e aspetto. Dopo mezz’ora lo vedo, è lì che si aggira lungo il binario, come se niente fosse, e io mi nascondo anche di più. Lo guardo, resto dove sono, vedo che sta bene, che non ha bisogno di me per i suoi progetti. Aspetto, aspetto a lungo che vada via, infine rimango solo, poi prendo il treno che mi porta indietro e torno a casa.

“Ciao collega”, gli dico dentro la mia lettera immaginaria, “Scusa se non vengo con te; ti sarei solo d’intralcio, però ti porto nel mio cuore, so che per te ci sarà da qualche parte una vita diversa, non so neppure immaginare quale, ma ti auguro che sia assolutamente la migliore che desideri, la meriti, ci hai sempre creduto, te la sei guadagnata, senz’altro più di me…”.

Bruno Magnolfi

Qualcosa per cui vivereultima modifica: 2010-07-04T18:42:34+02:00da magnonove
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Un pensiero su “Qualcosa per cui vivere

  1. Il timore di non riuscire a fare qualcosa dei nostri talenti e delle nostre ambizioni, ci porta spesso a rinchiuderci in spazi angusti della quotidianeità, quasi a impedirci di spiccare il volo..ma a volte basta guardare fuori dalla finestra… per scoprire che basta aprire le braccia e volare.

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