Studenti fuori sede

Certe volte si passeggiava a caso, senza uno scopo. Si andava incontro a qualcosa del quale non si era certi di voler davvero conoscere, ma di cui senza dubbio eravamo curiosi. Quasi ci perdevamo, ogni volta, attorno alla descrizione di un minuto dettaglio, o rapiti dalla invadenza di un particolare che funzionava da fulcro. Si piangeva ridendo, dentro noi stessi, pensando e immaginando la storia che aveva consumato le strade, le case, le facce, le espressioni di persone che a mani nude avevano plasmato le idee. Ci meravigliavamo di tutto, quasi sempre, e ci sentivamo migliori ogni volta che le parole soffuse parevano adatte a descrivere le nostre emozioni. Poi si trovava migliori anche coloro che al bar della stazione ci servivano un caffè impersonale, che dentro a luci al neon spietate continuavano con il proprio lavoro nelle tarde ore serali come se tutto fosse ordinario, consueto, niente che sostituisse la norma. Ci salutavamo a notte inoltrata, quando tutto tendeva al silenzio, con la certezza di proseguire ogni gesto, ogni pensiero, ogni emozione, bastava ritrovare la sera giusta, e ritornare ancora a passeggiare a caso, senza uno scopo. Poi arrivavano le giornate peggiori, quelle che ci facevano sentire incapaci, inconcludenti, inutili per gli altri e persino a noi stessi. Allora ci si rimboccava le maniche, ci facevamo forza sul filo di qualche telefonata e si cominciava a far girare il cervello; si ritornava in facoltà, si prendevano appunti su orari, lezioni, assistenti, si prendevano in prestito i libri in biblioteca o si trovava da qualcuno le benedette dispense, poi lo studio stritolava ogni altro pensiero. Non erano gli esami a spingerci avanti, era quel benedetto senso di colpa, quell’incapacità latente che avevamo di costruire il futuro sulla base di elementi riconosciuti dagli altri, che non fossero soltanto un’accozzaglia di sogni e fantasie che non avrebbero mai trovato seguito, per i quali forse ci torturavamo inutilmente. Una ragazza mi disse: “Sei qui per sostenere l’esame?”; ed io, che non avevo neanche un vestito decente e i miei capelli erano sicuramente in disordine, risposi soltanto: “No, sono l’assistente, ho solo fatto un po’ tardi…”.

Bruno Magnolfi

Studenti fuori sedeultima modifica: 2010-02-02T16:11:22+01:00da magnonove
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2 pensieri su “Studenti fuori sede

  1. Io ho vissuto quel periodo e mi ritrovo molto nell’atmosfera di quei tempi descritta in questo racconto, ma contesto la definizione di “quell’accozzaglia di sogni” penso che quei sogni furono e sono la linfa vitale che ci spinse e ci spinge ancora oggi a realizzare le nostre vite, a renderle interessanti e degne di essere vissute. Io personalmente non cambierei una virgola di quello che ho vissuto, se dovessi tornare indietro, anche perchè sono convinta che tradire i nostri sogni è un pò tradire noi stessi.

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