La natura perduta

Dalla cima della collina non si vedeva un gran panorama, giusto il paese lungo la strada che si snodava su un fianco, con i suoi tetti rossicci, e alcune altre colline grigie e sfumate proprio davanti. Però il senso di libertà che si respirava là sopra, lui non avrebbe proprio saputo dove altro trovarlo, e questo concetto era quello che nella sua mente aveva da sempre giustificato la sua scelta di fondo. Certo, c’erano stati momenti di crisi in tutti quegli anni, durante i quali aveva pensato perfino di smettere, di cercarsi un mestiere diverso, dipendente presso una ditta, per esempio, come altri in paese facevano, invece di continuare a tagliare alberi e boschi in solitudine per farne legna da ardere. Ma era il suo mondo, gli era stato tramandato così da suo padre, non aveva neanche avuto bisogno di scegliere, e lui si sentiva parte attiva di quel divenire, anche mentre gestiva la sua attività in accordo con le stagioni e con la natura, e doveva resistere a quell’odore forte di legno tagliato nelle narici, e a quelle sue mani callose perennemente macchiate di tannino e di resina. Ormai sapeva tutto sugli alberi, sui boschi, sulle ceduazioni da fare e su quelle che avrebbe fatto l’anno seguente, conosceva perfettamente colline e sentieri di tutti i dintorni del suo paese, per chilometri e chilometri, senza fermarsi, in un’area così vasta ma anche così familiare da sentirsela un po’ casa sua. Ogni sera rientrando al paese passava dall’osteria a bere un bicchiere di rosso, e tutti gli chiedevano sempre qualcosa sul lavoro e sul bosco, con suo grande piacere. L’abitudine a starsene ogni giorno da solo a lavorare in mezzo a quegli alberi, era un altro aspetto del quale si sentiva particolarmente orgoglioso: era bello il silenzio quando spegneva la sua motosega, il vento in mezzo alle foglie, l’aria fresca che accarezzava il fianco della collina, la contemplazione di quella natura speciale. Per questo quel giorno, quando vide quel gruppo di uomini e donne nella radura giù in basso, fermo, in un orario un po’ insolito, a fine giornata, rimase per lunghi momenti incuriosito e perplesso. Aveva fatto un po’ tardi per via della luce brillante di quella giornata serena, e il sole a quell’ora, fiammeggiando da sopra una lontana montagna, arrossava gli alberi e il cielo di sfumature e di tinte più chiare e più scure, tutte imparentate tra loro, come uscite da una medesima tonalità di colore. Scendendo lungo il sentiero era arrivato alle spalle del gruppo, e aveva chiesto ad uno degli ultimi che cosa stessero a fare sopra quel prato a quell’ora. Non ci fu una vera e propria risposta, ma solo l’indicazione del cielo al tramonto, senza alcuna parola, con un gesto esaustivo che contemporaneamente lasciava qualcosa nel vago. Il taglialegna si fermò assieme agli altri, forse aspettando qualcosa di strano di cui lui non era a conoscenza: un’eclissi, il passaggio di un meteorite nel cielo, una stella cometa, ma quando vide che quelle persone si ubriacavano del semplice tramonto del sole, comprese che forse lui, nonostante le difficoltà che doveva affrontare ogni giorno, era più fortunato di loro. Se ne andò, allora, riprendendo con calma il sentiero che conosceva perfettamente anche a quell’ora serale, e quando arrivò all’osteria del paese si fece versare un bicchiere di vino, un vino speciale, il migliore che avessero in quella bottega, e senza spiegare niente a nessuno degli amici presenti, brindò prima di tutto a se stesso e alla sua vita, e poi a tutti coloro nel mondo che non potevano neanche capire cosa avessero perso.

Bruno Magnolfi

La natura perdutaultima modifica: 2009-10-14T16:26:08+02:00da magnonove
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