Il tempo a frutto

A lei bastava star lì, sopra una sedia, a pensare. Aveva sempre avuto talmente tante cose sulle quali riflettere, che il tempo, praticamente, non le era mai stato sufficiente per farlo, e tante volte che si era trovata a decidere qualcosa, lo aveva dovuto fare senza neanche pensarci un po’ su. Prendersi adesso un intero periodo durante il quale occuparsi soltanto di sé, era quasi un regalo, almeno per lei, una cosa della quale aveva spesso provato una pungente necessità, senza essersene mai neppure resa conto. In quel piccolo ufficio, peraltro, in mezzo ad un corridoio lungo il quale si aprivano altri uffici adibiti a magazzini e normalmente non utilizzati, lei si sentiva bene e tranquilla. Qualcuno tra i colleghi aveva parlato di mobbing, altri avevano detto che era uno scandalo tenere un’impiegata di un’azienda importante come la loro, soltanto per occuparsi di inezie. C’era stato anche chi aveva parlato di accordi politici per arrivare a dei compromessi indecenti, che non stavano né dalla parte di chi lavorava, né dalla parte dello sviluppo aziendale. Ma lei non si era preoccupata per nulla, anche se sapeva che quella per lei era una punizione arrivata dai suoi dirigenti. Sicuramente durante gli anni in cui aveva lavorato ai rapporti con il pubblico, qualcosa non era piaciuto del suo comportamento aziendale. Ma in questa nuova fase non le interessava ascoltare nessuno di quei suoi colleghi che la spingevano a rivolgersi ai sindacati: se era stato deciso così, diceva, dovevano essersi sicuramente verificati dei buoni motivi, anche se a lei erano ignoti, e questo bastava. Il suo intento era quello di resistere per tutto il tempo che sarebbe stato necessario, ed era già pronta a riempire l’orario aziendale con attività proprie, di questo era più che sicura: se era una sfida, quella che le proponeva l’azienda, lei l’accettava senz’altro. Intanto aveva un computer, anche se un vecchio modello senza collegamento ad internet, un telefono interno aziendale, ed un telefono cellulare di sua proprietà. Poteva fare tantissime cose. Trascorse i primi giorni sistemando nel miglior modo possibile quei minimi oggetti di scarsa comodità della sua nuova stanza, e iniziando subito dopo a mettere in pratica le idee che le maturavano via via nella mente in quella solitudine completa. Naturalmente aveva anche sbrigato quelle piccole cose che il suo capoufficio, un tipo scostante che lavorava al piano inferiore, le aveva chiesto di fare. Poi aveva iniziato ad annotarsi sopra un’agenda tutti i particolari che le venivano a mente. Una specie di indice di tutte le idee e le possibilità che riusciva a pensare, apportando ogni giorno modifiche ed aggiunte, correggendo e ampliando le considerazioni che prendevano forma sopra la carta. In tutti quegli anni in cui aveva svolto lavoro ai rapporti col pubblico, di cose ne aveva viste parecchie. Raggiunto un discreto archivio di materiale, non le era restato che ampliare le note aggiungendo dettagli e specificando ogni piccola cosa. Con tutto quel tempo che aveva, le erano anche tornati alla mente dei fatti del proprio passato in azienda che probabilmente all’inizio aveva rimosso, o ai quali non aveva dato importanza, ma adesso, appuntando ogni elemento su quaderni diversi, in modo da dare a quei materiali impostazioni diverse, tutto prendeva un significato diverso, e in poco tempo era arrivata ad un punto che all’ora di timbrare il cartellino ed uscire assieme agli altri dal palazzo di uffici, quasi se ne sentiva un po’ dispiaciuta. La serata e la notte la trascorreva come sempre aveva fatto, ma la sua mente continuava ad elaborare le cose da scrivere e da segnalare, così che al momento che rientrava in ufficio, ricominciava subito a prendere nota di tutto. Ogni tanto chiamava col telefono interno i suoi vecchi colleghi per chiedere loro qualche notizia su una cosa o sull’altra, e in questo modo le cose andavano avanti. Alla mensa aziendale qualcuno le aveva chiesto come procedessero le cose per lei, e lei, sempre sorridente e festosa, aveva dichiarato che stava passando uno dei periodi più belli da quando, ormai tanti anni prima, era stata assunta in azienda. Poi, con ancora più calma, aveva iniziato a trascrivere ogni cosa in appositi files nel suo computer, salvando ogni elemento e ogni modifica anche su qualche dischetto di memoria che teneva nella sua borsa, così che tutto ormai sembrava allungarsi e prendere forma. Qualche collega era anche salito da lei a farle visita, ma l’aveva trovata intenta al proprio lavoro, e lei aveva spiegato che aveva molte cose da fare, senza specificare nient’altro. Poi, un giorno, dopo quasi tre mesi, era salito fino alla stanza anche il suo capoufficio, al quale erano arrivate alle orecchie notizie diverse da quelle che si sarebbe aspettato: invece delle dimissioni presunte, pareva che quella impiegata continuasse imperterrita a svolgere la sua attività, anche se nessuno oramai le passava in concreto qualcosa da fare, e questo comportamento era il contrario di quanto era stato deciso e pianificato. Entrò nell’ufficio, la salutò in modo sgarbato, come sempre aveva fatto con lei, le chiese di che cosa si stesse occupando. Lei non provò alcuna perplessità, girò il suo monitor verso di lui e gli fece vedere tutto il lavoro, punto per punto, Gli fece leggere ogni dettaglio, laddove si spiegava così, dentro a quei files, nero su bianco, con una minuzia incredibile, tutto quello che le era successo da quando era arrivata dentro l’azienda, tutte le cose non chiare che erano passate sopra la sua scrivania, con una sottolineatura continua dei comportamenti faziosi e immorali che erano stati tenuti nei confronti degli utenti e degli impiegati. Il taglio di tutto il lavoro era di tipo giornalistico, e tutto pareva già fatto in modo da essere pubblicato su una qualche rivista a caccia di scandali. Il capoufficio, in dieci minuti, comprese il rischio a cui la sua azienda si stava esponendo, e cercò  subito di trattare con lei, promettendole di parlare con i suoi superiori, assicurandola che sarebbe stato trovato un posto più adatto alle sue competenze, ma lei fu imperterrita: si alzò dalla sua sedia, prese la borsa con i suoi documenti, ed uscendo dalla stanza disse soltanto: “Le mie dimissioni ufficiali, che probabilmente volevate strapparmi per disperazione, adesso le scriva da sé;  a me basta di andarmene, far pubblicare il mio dossier su di lei e su tutta l’azienda, il resto lo vedremo in futuro…”, e con queste parole uscì dalla stanza.

Bruno Magnolfi

 

Il tempo a fruttoultima modifica: 2009-10-04T09:18:00+02:00da magnonove
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